Riconoscimenti a macchia di leopardo e nessuna linea comune, molti medici in formazione che hanno lavorato nei reparti Covid non potranno usufruire delle facilitazioni previste. La parola alle associazioni
Medici strutturati, infermieri, tecnici, personale amministrativo: tutte queste figure hanno potuto beneficiare del bonus previsto dal governo per il sostegno alle professioni sanitarie impegnate nella lotta contro l’epidemia causata dal coronavirus. In un rimpallo di competenze fra le università, le regioni e lo stato centrale, l’estate dei medici specializzandi inizia a veleggiare verso la propria conclusione con una certezza: per loro questo sostegno economico, minimale ma dovuto, non ci sarà. Se non a macchia di leopardo e in base alla benevolenza delle amministrazioni regionali: per ora Regione Lazio ha pubblicato il suo bando, Emilia Romagna, Toscana e Puglia hanno assicurato impegni in questa direzione; ma dalle altre regioni, spiegano le associazioni dei medici in formazione, molte rassicurazioni ma nessun passo concreto.
Lo sottolineano ad una sola voce, le realtà che organizzano gli specializzandi: i medici in formazione vengono trattati da studenti o da dirigenti medici a seconda di quando fa comodo. Utilizzati sistematicamente nelle turnazioni del periodo Sars-COV-2, i medici specializzandi chiedono a gran voce di avere dalla loro questo ristoro economico.
Pierino di Silverio è il responsabile Giovani di Anaao Assomed: «Gli specializzandi sono all’occorrenza super studenti e all’occorrenza medici già formati, vengono sfruttati con contratti beceri e gli viene dato il benservito. Il decreto del 9 marzo ci ha parlato di assunzioni tramite Co.Co.Co., quelle tipologie contrattuali che abbiamo sempre combattuto, senza tutele di base, senza prospettive e ora, finita la fase emergenziale, ci viene detto “grazie tante” e niente bonus».
«Le regioni trattano in maniera arbitraria gli specializzandi e non riconoscere il nostro sforzo durante il periodo Covid è inaccettabile, l’ennesimo gioco delle tre carte fra università, regioni e governo – spiega Mirko Claus, responsabile di FederSpecializzandi -. Abbiamo un contratto di formazione specialistica stipulato con il Miur e con la Regione, non abbiamo indennità di guardia festiva o notturna, spesso non abbiamo divise e non possiamo accedere alle mense. Siamo i Calimero del sistema della sanità, pur avendo dedicato sette anni a studi specifici e lavorando a tempo pieno nelle strutture sanitarie che, senza di noi, avrebbero problemi insormontabili».
«Siamo a zero e invece in tutte le regioni d’Italia dove gli specializzandi sono stati utilizzati nelle corsie Covid deve essere riconosciuto un corrispettivo congruo – gli fa eco Giammaria Liuzzi, nel consiglio direttivo dell’Associazione Liberi Specializzandi -. Non possono trattarci come studenti quando siamo specializzandi e come dirigenti medici quando conviene e quando c’è una situazione di emergenza. Questa brutta storia della pandemia può diventare lo spunto per riformare il sistema delle specializzazioni, in modo da non dover essere punto e daccapo in autunno, dovendo tornare a mettere una pezza invece di avere un serio discorso di struttura». Anche perché sono quasi 2mila gli specializzandi che ogni anno scelgono di andare all’estero invece di provare a lavorare nella sanità pubblica italiana.
«Dobbiamo lavorare affinché i colleghi trovino attrattivo il Sistema sanitario nazionale – continua Claus -. Servono adeguamenti delle condizioni contrattuali per noi ferme al 2007, un riconoscimento per guardie e per straordinari, un ammodernamento del sistema formativo e un adeguamento salariale rispetto al resto d’Europa. Per non parlare della necessità di superare una volta per tutte l’imbuto formativo del post-laurea».
Di Silverio incalza: «Dobbiamo ingranare la marcia su una riforma sostanziale del percorso di formazione, vogliamo avere un contratto vero e proprio, vogliamo dei teaching hospitals che ci possano garantire un contratto e non una borsa di formazione. Lo specializzando non è un borsista, è un medico in formazione che merita un investimento adeguato: la sanità non deve essere considerata una spesa ma una risorsa. All’estero la possibilità di crescita e di carriera è più veloce e comincia prima: a 35 anni un medico ha una autonomia totale, in Italia forse si inizia ad intravedere un contratto di qualche genere. Se non ci sbrighiamo – conclude il responsabile Anaao Assomed – di qui a cinque anni per il sistema sarà una debacle».
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