Direttiva 2003/88/CE recepita ma non applicata. A rischio la salute di camici bianchi e pazienti
Tutti i lavoratori hanno diritto ad orari di lavoro, e conseguentemente di riposo, adeguati e consoni alle loro esigenze. A quanto pare tutti, meno i dirigenti medici italiani.
Si sono infatti ritrovati spesso a superare i limiti stabiliti dall’Unione Europea attraverso la direttiva 2003/88/CE che aveva come scopo quello di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante l’orario di lavoro.
Secondo quanto sancito dall’Europa, i medici dovrebbero godere di almeno 11 ore consecutive di riposo al giorno più un ulteriore riposo settimanale di 24 ore. Nel nostro Paese, invece, le 48 ore settimanali sono diventate 60 o, addirittura, 70. Com’è potuto succedere?
La direttiva emanata dall’Ue undici anni fa, valida sia per i camici bianchi pubblici che privati, è stata in un primo momento recepita dal Parlamento italiano, ma la legge finanziaria per il 2008 (l. n. 244/2007) e la l. n. 112/2008 ne hanno vanificato gli effetti, mettendo nero su bianco che le tutele relative all’orario lavorativo “non si applicano al personale del ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale”. Ciò significa che i dirigenti medici si vedono privati dal 2008 di una garanzia che viene invece riconosciuta a tutti i lavoratori italiani, danneggiando in questo modo sia il camice bianco che il paziente in cura. Per spronare l’Italia a tornare sui suoi passi e a rimettersi in regola, il 30 luglio 2013 la Commissione Europea invitò a recepire la direttiva. Invito che rimase inascoltato e costrinse l’Unione Europea a deferire il nostro Paese nel febbraio successivo.
Esiste comunque per i dirigenti medici del Ssn la possibilità di agire in modo da tutelare il rispetto dei propri diritti ed ottenere un risarcimento. Il danno subito è infatti sia di natura patrimoniale (se il camice bianco non abbia avuto alcuna retribuzione per lo straordinario effettuato, nel caso in cui l’azienda abbia fatto rientrare tali ore nell’ambito dell’obiettivo di risultato), sia di natura non patrimoniale, (quando invece il danno è morale, biologico o esistenziale, ed è causato dall’eccessivo lavoro, dallo stress conseguente e dal necessario cambio del proprio stile di vita).