«Lavoriamo in condizioni disumane, e come regalo addio a permessi retribuiti e scatti»
Per qualche mese sono stati i nostri eroi, gli angeli delle corsie, instancabili servitori nella battaglia contro il Covid. Oggi molti operatori sanitari lamentano di essere stati dimenticati troppo presto. Tra questi, Paola (nome di fantasia), infermiera del Gruppo San Donato, che non nasconde la delusione per il nuovo contratto entrato in vigore il primo giugno. «Dopo aver subito, qualche anno fa, una riduzione dello stipendio per risolvere il debito della vecchia proprietà – racconta l’infermiera del San Raffaele a Sanità Informazione – oggi hanno cambiato il contratto, equiparandolo a quello AIOP dei nuovi assunti, perdendo scatti, permessi retribuiti ed altre agevolazioni come “regalo” dopo il Covid. Senza dimenticare che ci stanno facendo lavorare in condizioni disumane – rimarca –. Ora siamo impegnati nel servizio di tamponi drive in che, se da un lato è un ottimo servizio per la città, dall’altra ci costringe a stare ore sotto un tendone con la tuta protettiva addosso, la mascherina e gli occhiali, senza possibilità, durante il turno di sei ore, di bere o di andare in bagno. Nelle giornate di sole fa molto caldo, quando piove e tira vento restiamo ore bagnati senza possibilità di cambiare gli indumenti».
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Il ricordo dei giorni trascorsi in corsia con i malati di Covid è vivo nella mente, soprattutto perché il ritorno alla normalità sembra essere ancora lontano: «Ho contratto il virus – rivela l’infermiera –, molti di noi si sono ammalati, non potevamo mettere la mascherina per non impressionare i pazienti. In ospedale da subito abbiamo avuto la reale percezione del problema: quando ancora tutti dicevano che era una influenza, qui ci si ammalava e si moriva. Avevamo solo le mascherine chirurgiche e poi neppure più quelle. Ad un certo punto facevamo assistenza a mani nude e senza protezioni. Abbiamo avuto interi reparti con operatori infettati, alcuni sono finiti in rianimazione. Dalla battaglia siamo usciti con le ossa rotte – chiosa con un pizzico di rammarico – ed ora non possiamo neppure andare in ferie».
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