La referente della Federazione Logopedisti Italiani per il progetto europeo “Cost Action” sui Disturbi Primari del Linguaggio racconta come fa ‘lavorare’ i bambini: «La tipologia di gioco è selezionata in base all’età del paziente e al suo specifico disturbo di linguaggio. Serve ad aumentare la produzione linguistica in un contesto divertente, ma significativo»
Tutto è ad altezza bambino: piccole sedie, tavolini, libri. E, soprattutto, anche la dottoressa Francesca Mollo, logopedista, è rigorosamente posizionata alla stessa distanza dal pavimento dei suoi piccoli pazienti. La sua terapia comincia già dall’accoglienza: apre la porta e invita il bambino ad entrare accovacciandosi sulle gambe. «Lo accolgo all’ingresso e mi metto subito alla sua altezza per avere un contatto oculare, per stabilire una relazione ed agganciare lo sguardo – spiega Francesca Mollo, referente della Federazione Logopedisti Italiani (Fli) per il progetto europeo “Cost Action” sui Disturbi Primari del Linguaggio-. Dopodiché, lo invito ad entrare e seguo il suo interesse, chiedendogli quale gioco vorrà fare».
La dottoressa Mollo, durante le sue sedute logopediche, dedica ampio spazio alle attività ludiche. Ma la scelta del gioco, ovviamente non è casuale: «Ogni singola attività – dice la logopedista – è utile ad agganciare un preciso lessico ed a raggiungere determinati obiettivi. Di conseguenza, la tipologia di gioco sarà selezionata valutando l’età del paziente e il suo specifico disturbo di linguaggio».
E per capire meglio le funzioni terapeutiche di questi momenti ludici abbiamo osservato la dottoressa Mollo direttamente all’opera, cominciando dai più piccoli che «nella maggior parte dei casi – dice la logopedista – non possiedono un linguaggio ed hanno un livello comunicativo più o meno buono». A loro viene spesso proposto di giocare con una ranocchia in plastica la cui bocca spalancata va riempita con della frutta in legno: «Questa attività – racconta l’esperta – è utile alla stimolazione lessicale ed allo svolgimento di alcuni compiti come tagliare e imboccare. E mentre si imbocca la ranocchia, a seconda del vocabolario del bambino, si assocerà la parola pappa o un semplice suono onomatopeico come “gnam”». Ancora, palline da inserire nel cerchio dello stesso colore con un piccolo martello, strumento che permette di associare il concetto di fine a quello di mezzo, o con le mani.
«Si tratta di attività adatte a bambini che giungono da un logopedista per un esordio tardivo del linguaggio – aggiunge Mollo -. A volte non parlano affatto, oppure sono in grado di utilizzare solo pochissime parole. Il gioco, quindi, serve proprio ad aumentare la produzione linguistica in un contesto divertente ma anche significativo. La stimolazione è contemporaneamente sia cognitiva che linguistica. I suoni e le parole vengono sempre codificate anche attraverso dei gesti, che servono a supportare la codifica uditiva con quella codifica visiva. In questo modo, quando il bambino dovrà ripetere una parola sarà facilitato dalla visione di questi movimenti».
Diverse le attività dedicate ai più grandi «che di solito – sottolinea l’esperta – hanno un disturbo primario del linguaggio, dell’area fonetico-fonologica o sintattico-grammaticale. Questi piccoli pazienti devono lavorare soprattutto nell’utilizzo del linguaggio nella sua complessità. Per questo con loro preferisco alternare momenti di terapia più strutturata in cui mi servo di materiali classici, come quelli figurativi, a momenti di gioco in cui le parole e le frasi e tutto ciò che serve alla comunicazione è inserito in un contesto funzionale e significativo».
Il gioco del garage mette tutti d’accordo: «Piace a tutti i bambini – dice Mollo – si sceglie un lessico da usare e si gioca insieme. Attraverso il modeling linguistico si corregge anche la produzione dei suoni e, di volta in volta, si arricchiscono le frasi con elementi nuovi. Ancora, il gioco della pesca o la costruzione di storie in sequenza, utile soprattutto per quei bambini che hanno difficoltà nel racconto».
I momenti della terapia sono tutti fondamentali, saluto finale compreso. «Ho strutturato un piccolo rituale che aiuta i bambini a capire che abbiamo concluso il lavoro e, contemporaneamente – aggiunge la logopedista – li premia della fatica che pur giocando fanno sempre. Sto parlando del momento della caramella. Si pronuncia la parola magica, una sequenza di sillabe studiata ad hoc per le problematiche del bambino, e il barattolo si apre». E anche dopo che il piccolo avrà scartato il suo dolcetto la terapia andrà avanti: «Pure la masticazione della stessa caramella ha una sua finalità terapeutica, soprattutto per coloro che hanno problemi di masticazione e deglutizione». E senza nemmeno essersene resi conti i bambini hanno lavorato fino all’ultimo minuto e se ne vanno felici e con la bocca dolce. «Ogni bimbo ha il suo gusto preferito e io – conclude Francesca Mollo, anche lei sorridente come suoi piccoli pazienti – li ricordo uno ad uno».