3.800 infermieri e 1.656 medici sospesi, 522 invece sono tornati indietro e si sono vaccinati contro Covid. A che punto siamo con i lavoratori della sanità che non hanno adempiuto all’obbligo vaccinale
Circa 3.800 infermieri e 1.656 medici sospesi perché non vaccinati. È questo il verdetto a otto mesi da quando l’obbligo vaccinale per i sanitari è diventato legge, sebbene i provvedimenti “punitivi” siano stati messi in atto solo di recente. La Federazione degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) e la Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) ricevono i dati dagli organi provinciali e mantengono un calcolo più preciso possibile, anche in base alla puntualità con cui le aziende comunicano i dati.
Tra i medici, informa il presidente FNOMCeO Filippo Anelli, 522 sono tornati sui propri passi e hanno fatto l’iniezione anti-Covid dopo la sospensione. Mentre sono 78 gli Ordini (su 106) che hanno notificato almeno una sospensione di un iscritto. Le cifre sono comunque irrisorie, tiene a ribadire Anelli. Su 468mila professionisti iscritti la proporzione tra chi è regolarmente vaccinato e chi no è facilmente calcolabile. È una minoranza quella dei medici non vaccinati, sui quali la sospensione ha avuto in parte l’effetto sperato.
«La notifica della sospensione comunicata dalla Asl al sanitario e all’Ordine, per la sospensione dall’Albo, si è dimostrata un pungolo efficace per indurre alla vaccinazione i colleghi che, per un motivo o per l’altro, non avevano ancora adempiuto all’obbligo – spiega il presidente FNOMCeO -. Per questo è importante che non si interrompa il flusso, e che tutte le Asl comunichino al più presto agli Ordini i nominativi dei medici non ancora vaccinati. E ciò, sia per evitare che, come sta ancora accadendo almeno in 28 province, i sanitari continuino a operare a contatto con i pazienti; sia per poter convincere a effettuarla i colleghi che, per varie motivazioni, hanno rimandato la vaccinazione».
I numeri degli infermieri, 3.800 sospesi, sembrano più alti ma coprono lo 0,85% degli iscritti totali. Lo ha ricordato Luigi Pais del comitato centrale della Fnopi all’Adnkronos Salute. Però solo il 75% delle aziende sanitarie ha comunicato i dati, su questo c’è certezza. La ragione è da ritrovarsi nell’approccio scelto dalle singole aziende: per alcune il timore di trovarsi sotto con l’organico impedisce di agire tempestivamente nelle sospensioni. In altri casi invece, i controlli sui documenti sono lenti quindi colleghi che hanno già ricevuto notifica di sospensione non la vedono attuarsi e continuano a lavorare. Generando così anche malcontento negli altri infermieri, che vedono non applicata una norma in cui abbiano creduto.
Sulle terze dosi sia FNOMCeO che FNOPI riferiscono una buona aderenza da parte dei colleghi, sebbene in alcune Regioni si proceda più celermente che in altre. Agli Ordini però arrivano comunicazioni e richieste di chiarimento da parte degli iscritti. Dunque sono in molti a suggerire un eventuale obbligo di terza dose per le categorie di lavoratori che sono più vicini ai malati, proprio per evitare malintesi o che lavoratori più giovani aspettino più del tempo necessario per prenotarsi.
«Siamo in dirittura d’arrivo – ribadisce Anelli – non fermiamoci ora: tutti i cittadini hanno diritto a scegliere consapevolmente, con l’aiuto del medico. Il vaccino ci salva la vita: il medico ha il dovere di mettere a disposizione le sue conoscenze e competenze perché ogni cittadino riceva la miglior prevenzione e la miglior assistenza possibili».
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