Di Silverio: «Il problema ha radici profonde acuite dal Covid. I carichi di lavoro sono diventati insostenibili e la retribuzione non è commisurata all’onerosità e alla tipologia di lavoro, a cui si somma una sostanziale assenza di sicurezza»
Il personale sanitario scappa dalla sanità pubblica e in particolare dai Pronto Soccorso: un fenomeno diffuso su scala nazionale ma che sta assumendo dimensioni particolarmente allarmanti in Campania, dove solo nell’ultimo anno un centinaio di medici ha abbandonato “la prima linea”. Come denunciato dal sindacato Anaao Assomed, si tratta del «fallimento di un modello ospedaliero che ha sacrificato la qualità dell’assistenza sull’altare del budget», nato sotto il nome di “ospedale sicuro” ma che nei fatti, chiudendo e depotenziando molti presìdi centrali e periferici, ha ottenuto l’esatto opposto di quanto dichiarasse lo slogan.
I Pronto Soccorso si trovano oggi a dover sopperire alle carenze organizzative della sanità territoriale, per contro si è instaurato un circolo vizioso che indebolisce il sistema di cure integrato fatto di visite ambulatoriali, consulenze, guardie di reparto e attività di sala operatoria, a causa della forza lavoro sottratta per coprire le carenze di organico in Pronto Soccorso.
«Il problema ha radici profonde che si sono sicuramente acuite dopo l’emergenza Covid – afferma alle nostre telecamere Pierino Di Silverio, responsabile nazionale Giovani Anaao Assomed -. Da una parte i carichi di lavoro che sono diventati insostenibili, dall’altra una retribuzione non commisurata all’onerosità e alla tipologia di lavoro, a cui si somma una sostanziale assenza di sicurezza che emerge dalle aggressioni di cui è costantemente vittima il personale sanitario».
«Stanti così le cose – osserva – la fuga di medici non cesserà, un andazzo manifestatosi già nello scorso concorso per l’accesso alle Scuole di Specializzazione, che prevedeva per la prima volta ben 14mila posti, in cui molti di questi posti sono andati deserti. La vocazione che da sempre caratterizza la nostra professione sta soccombendo sotto il peso del logorio fisico e mentale che oggi il nostro lavoro comporta, e che è sempre meno conveniente anche dal punto di vista della gratificazione personale».
«Nella rete dell’emergenza urgenza il problema è ancora più sentito – sottolinea Di Silverio – perché oltre ai carichi di lavoro insostenibili e alle ragioni economiche, c’è un problema di qualità del lavoro che oggi è venuta totalmente a mancare anche a causa del Covid, e che non accenna a risalire la china a causa dei pochi fondi stanziati per il settore. Non conta solo l’infrastruttura, conta il lavoro del personale. E se non viene assunto altro personale – conclude Di Silverio – e non migliorano quindi le condizioni di lavoro, il medico in ospedale non ci va più».
Proprio nei giorni scorsi, però, il Consiglio Nazionale Anaao Assomed ha approvato una serie di proposte che ora potranno essere portate all’attenzione delle istituzioni competenti per cercare di porre un freno a questa “emorragia” che si ripercuote oltre che sugli operatori sanitari, soprattutto sui pazienti.
«Le soluzioni ci vengono offerte da chi vive il problema in prima persona – spiega alle nostre telecamere Maurizio Cappiello, Direzione Nazionale Anaao Assomed -. Ci sono proposte di tipo contrattuale e proposte di tipo legislativo. Tra le prime vi è un aumento dei giorni di ferie per garantire il riposo psicofisico tenuto conto dell’enorme stress lavorativo che chi lavora in urgenza vive tutti i giorni. Sulle proposte di tipo legislativo è necessario lavorare per evitare le aggressioni al personale sanitario, prevedendo un miglioramento dell’impianto normativo della legge 113/20, in quanto questa non riesce ancora a sortire un effetto deterrente. Ad esempio istituendo dei presìdi di sicurezza fissi all’interno dei Pronto Soccorso».
«Un’altra proposta – continua – è quella di integrare l’ospedale con il territorio con un dipartimento unico integrato dell’emergenza-urgenza in modo tale da consentire un turn over e una rotazione tra i medici che lavorano in ospedale e i medici del 118. E poi – conclude – il riconoscimento di una specifica indennità per chi lavora nella rete dell’emergenza-urgenza per gratificare quello che è il rischio professionale e la particolare abnegazione che questa professione richiede».
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