A denunciare lo stato di frustrazione della categoria è Franco Marozzi vicepresidente della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni che suggerisce una riforma del sistema secondo il modello francese
Lavorano a stretto contatto con la Magistratura e le Forze dell’Ordine, recuperano informazioni e prove nelle indagini che risultano poi decisive nella soluzione dei casi; fanno autopsie sui cadaveri, forniscono dati necroscopici elaborati e certificati, definiscono epoca della morte, causa del decesso, cronologia delle lesioni, tutti elementi indispensabili per la soluzione dei casi, eppure, a fronte di un supporto decisivo, operano secondo tariffari vecchi di due decenni e vengono pagati anche a distanza di anni. Sono i medici legali.
A denunciare la condizione difficile della categoria è Franco Marozzi, vicepresidente della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni (SIMLA) che lancia un appello alle istituzioni: «È necessaria una riforma del sistema secondo il modello di molti paesi europei dove esistono strutture medico legali, di solito istituti universitari, con laboratori e dove operano patologi forensi, che di fatto sono dipendenti del Ministero di Grazia e Giustizia o del Ministero della Salute, e che hanno competenza su ambiti territoriali definiti come le regioni o le contee negli Stati Uniti».
Sono circa 4000 i medici legali che svolgono la loro attività in Italia, esercitano nei tribunali come periti e consulenti di Giudici e PM, una categoria con un ruolo di primo piano in ambito giudiziario che chiede dunque più attenzione: «Abbiamo un ruolo decisivo nei processi eppure siamo misconosciuti». Non ha mezzi termini Marozzi che aggiunge: «Non si tratta di un problema solo sindacale legato alle tariffe molto basse che ancora si applicano e alle lungaggini terrificanti che dobbiamo sopportare per ottenere un degno riconoscimento economico per le prestazioni che facciamo, spesso anche in condizioni difficili, ma è una questione di dignità verso i professionisti. Meritiamo rispetto anche perché siamo la voce di chi non ha più voce: vittime di omicidi, di lesioni, di abusi e maltrattamenti. Per questo chiediamo si appronti una vera riforma dell’intero sistema giudiziario, se non verrà fatto, la conseguenza sarà un impoverimento del mondo scientifico, una riduzione del numero delle autopsie e l’impossibilità di avere un servizio di medicina legale che si possa occupare anche del vivente in relazione a tutti i reati che ledono la salute dei cittadini».
La Società Italiana di medicina legale e delle assicurazioni con il suo vicepresidente ha le idee chiare, frutto di una esperienza maturata in 125 anni di attività: «La nostra proposta è quindi di adeguare il sistema italiano al modello europeo – conclude Marozzi -, con un approccio completamente nuovo come accade già in Francia, o Germania, dove i medici legali sono assunti in grandi centri specializzati e organizzati con le migliori tecnologie sul piano clinico e di laboratorio e si occupano delle vittime, ma anche dei viventi, di tutti coloro che subiscono violenze nel quotidiano e che oggi in Italia non hanno uno specifico riferimento specialistico. Se oggi esistono già dei consulenti di medicina legale riferibili al Pronto soccorso è perché vengono fatte da iniziative che sorgono spontaneamente con la collaborazione dei medici legali senza alcuna organizzazione sul piano nazionale».
È un fiume in piena il vicepresidente Marozzi tanto che ricorda pure un aneddoto che risale ai primi anni ’90 quando il compianto giudice Giovanni Falcone andò a Roma come consulente del ministero della Giustizia e disse che era necessaria una riforma della medicina legale italiana. «Hanno portato via Falcone e la riforma non è mai decollata. È giunto il momento di metterla in atto», chiosa.
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