Lavoro e Professioni 13 Settembre 2021 11:54

Medicina emergenza-urgenza, Fera (Cisl): «Indennità di rischio e lavoro usurante per renderla più attrattiva»

Carenze nei pronto soccorso in tutta Italia e sempre meno medici vogliono intraprendere questa specializzazione. La sindacalista: «Spesso non viene rispettata la legislazione europea sull’orario di lavoro e vengono negate le ferie. Serve una riforma che consenta al medico di pronto soccorso di avere la capacità di gestire tutte le patologie che incontra»

di Francesco Torre
Medicina emergenza-urgenza, Fera (Cisl): «Indennità di rischio e lavoro usurante per renderla più attrattiva»

Ben 456 borse di studio in medicina di emergenza-urgenza non assegnate quest’anno. Un dato preoccupante che segnala la sempre maggiore disaffezione dei giovani medici verso questa specializzazione. Colpa dei turni massacranti, delle aggressioni ma anche della scarsa attrattività contrattuale di questo settore, come sottolinea a Sanità Informazione la dottoressa Giuseppina Fera, reggente CISL Medici Lombardia e componente segreteria nazionale CISL Medici, oltre che tesoriere della Simeu, Società italiana della medicina di emergenza-urgenza.

«La medicina di emergenza-urgenza ha dimostrato nel periodo pandemico la grande capacità di adattamento caratteristica di questo lavoro. Purtroppo, questo non è stato sufficiente a far riconoscere alle istituzioni il ruolo del medico di emergenza-urgenza, a nessun livello» spiega con rammarico la dottoressa Fera. Intanto i concorsi per questo settore continuano ad essere poco popolari: a luglio in Molise è andato addirittura deserto un concorso per 20 posti a tempo determinato per i Pronto Soccorso molisani. E carenze di personale si segnalano nei Pronto Soccorso di tutta Italia.

Dottoressa, l’emergenza Covid come ha trasformato la medicina di emergenza-urgenza?

«La medicina di emergenza-urgenza ha dimostrato nel periodo pandemico la grande capacità di adattamento caratteristica di questo lavoro. Purtroppo, questo non è stato sufficiente a far riconoscere alle istituzioni il ruolo del medico di emergenza-urgenza, a nessun livello. Per esempio, i cosiddetti bonus Covid sono stati dati in maniera disomogenea nelle varie Regioni e in particolare in alcune sono stati esclusi i medici del 118 che non hanno un contratto da dirigente ma una convenzione, dato che nella norma si parlava di dipendenti. Questa discriminazione ha creato disagio e malessere lavorativo che si ripercuotono in un allontanamento da parte dei professionisti dal sistema dell’emergenza».

Prima del Covid, non era raro che i concorsi per i posti in emergenza-urgenza andassero deserti o comunque che non si trovassero sufficienti candidati. Perché i medici non vogliono lavorare nei Pronto soccorso?

«Il lavoro in emergenza-urgenza è sicuramente diverso rispetto a quello in ambulatorio o reparto, infatti anche i requisiti fisici vengono valutati annualmente dal medico competente. I ritmi sono spesso frenetici, di giorno e di notte, e bisogna decidere in poche ore il destino di pazienti che possono avere qualsiasi patologia. Questo è sicuramente stimolante e gratificante, ma anche faticoso. Inoltre, il problema delle aggressioni nei Pronto soccorso è in continuo aumento, anche per lo stress da Covid. Nonostante la Cisl medici si sia fatta promotore di tante azioni e denunce a riguardo, ancora adesso non c’è ubiquitariamente un presidio di polizia a tutela sia dei pazienti sia degli operatori. I medici della medicina d’emergenza urgenza non svolgono libera professione, sia per il tipo di specializzazione sia per la stanchezza che comporta questo lavoro e gli straordinari necessari a sopperire le carenze di organico sempre maggiori. Spesso non viene infatti rispettata la legislazione europea sull’orario di lavoro e vengono negate le ferie. Tutto questo a parità di stipendio rispetto agli altri specialisti».

Si registra ancora una carenza di organico in questo settore?

«Prima la carenza di specialisti era legata all’imbuto formativo da carenza di borse di specializzazione, da qualche anno succedeva che la specializzazione in MEU non venisse portata a termine da molti perché era una delle ultime scelte e se l’anno successivo riuscivano ad entrare in una specialità che preferivano abbandonavano il percorso. Il risultato negli anni ha portato ad una perdita di numerose borse di specialità in MEU. Il dato di quest’anno è ancora più preoccupante, perché sono state incrementate le borse di studio, ma non ne sono state assegnate ben 456. Se questa specialità non verrà resa più attrattiva, difficilmente i giovani medici accetteranno di farla, anche nei prossimi anni, quindi la carenza in questo settore è destinata ad aumentare».

Lei ha elencato alcune misure per rendere più attrattiva la specializzazione. Quali sono le più urgenti?

«Innanzitutto per cercare di evitare ulteriori emorragie di personale bisogna evitare la fuga dei professionisti precari già presenti, dando l’opportunità ai medici assunti da almeno tre anni con incarichi ACN dell’emergenza territoriale a tempo determinato di accedere, secondo modalità da concordare con il MUR, alla Scuola di Specializzazione in Medicina di Emergenza-Urgenza. Questa è una priorità per cercare di mantenere il personale già presente nel sistema. Inoltre, bisognerebbe rendere contrattualmente più attrattivo il lavoro in emergenza-urgenza. Si spera che a breve si riprendano le trattative all’ARAN per il CCNL della Dirigenza medica e questa potrebbe essere l’occasione. Già nell’ultimo contratto è stato riconosciuto il disagio di chi lavora in pronto soccorso, dando un valore maggiore, anche se di poco, alle guardie notturne e festive. Bisogna andare avanti con questo riconoscimento e contrattualmente istituire una indennità di rischio, che risarcirebbe la mancanza della libera professione, e riconoscere il lavoro usurante».

Si parla da anni di riforma del sistema dell’emergenza urgenza. Quali sono secondo lei le priorità?

«La vera priorità è continuare a garantire il diritto alla cura previsto costituzionalmente. È importante continuare il percorso intrapreso. Il medico dell’emergenza è unico: non devono più esistere la sala medica e quella chirurgica degli anni ’90. Il medico del pronto soccorso deve avere la capacità di gestire tutte le patologie che incontra, avvalendosi quando necessario delle consulenze specialistiche, con una autonomia che consenta la gestione più oculata di ricoveri e consulenze specialistiche, data anche la progressiva riduzione dei posti letto e dei medici in tutti i settori. Deve saper gestire il malato acuto, non solo in periodo di pandemia, il cronico, le condizioni socioassistenziali, conoscere i percorsi, indirizzare appropriatamente il paziente che non sa trovare da solo risposte sul territorio. Il pronto soccorso, essendo sempre aperto, è il posto che deve fronteggiare tutti i tipi di richiesta. La SIMEU da anni fa proposte e studi proponendo standard non solo di personale per garantire l’assistenza ottimale. La priorità nel sistema di emergenza-urgenza è soprattutto riconoscere che non basta un medico qualsiasi per coprire le guardie in pronto soccorso».

Cosa direbbe a un giovane laureato in medicina per convincerlo ad intraprendere questa carriera?

«Al di là delle criticità che ho espresso, credo che noi che amiamo l’emergenza-urgenza apprezziamo il dinamismo e la continua possibilità di crescita professionale che questo lavoro offre. Ogni paziente è una ipotesi diagnostica fatta, una scoperta che stimola a cercare di apprendere sempre di più. Questo consente di acquisire competenze a 360 gradi, comporta fatica, ma le soddisfazioni e le gratificazioni sono moltissime. Un altro aspetto che ritengo importante è il grande lavoro d’equipe e l’appartenenza ad una squadra multiprofessionale affiatata e motivata. Insomma, nonostante i tanti problemi, è comunque una gran bella professione».

 

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