Intervista a Nicola Gambadoro, fondatore del gruppo Facebook che raccoglie, al momento, oltre 56mila camici bianchi iscritti
Un gruppo nato per gioco e diventato in poco tempo un fenomeno social. Una valvola di sfogo con cui esorcizzare paure, scaricare stress e frustrazioni, criticare anche costruttivamente un sistema che, a volte, usura davvero troppo chi ci lavora. Come i medici. Parliamo di Memedical, il gruppo Facebook di meme fatti dai medici per i medici.
«Fino ad un mesetto fa – spiega Nicola Gambadoro, specialista in medicina interna all’opera in un ospedale di Messina e fondatore di Memedical –, la prima regola del gruppo era “qui non si parla di Covid”». Ora la situazione epidemiologica italiana fortunatamente si è evoluta in senso positivo e, dunque, «non è più un problema parlarne», ma il gruppo era nato proprio per «svagarsi, perché sia io che i miei colleghi eravamo stufi di sentir parlare sempre e in continuazione dello stesso argomento».
E così, il 19 marzo 2020, su Facebook nasce un gruppetto privato che, almeno inizialmente, ha pochissimi membri. Tutti amici. Il giorno dopo ce n’è qualcuno in più, invitato da chi ne faceva già parte. Il giorno successivo ancora una manciata in più, magari amici degli amici invitati il giorno prima, e così via. In pochi giorni gli iscritti diventano centinaia, in poche settimane migliaia e poi decine di migliaia. Ora ne sono poco più di 56mila. Tutti camici bianchi delle più diverse specializzazioni e tutti con il potere di esprimere un proprio concetto, una difficoltà, una speranza, attraverso i meme. I quali, prima essere pubblicati, passano per l’attento e vigile sguardo dei moderatori.
Per far parte del gruppo bisogna, prima di tutto, essere medici e rispettare poche semplici regole: «No al racconto di fatti realmente accaduti, no black humor e no a contenuti ritenuti irrispettosi nei confronti dei pazienti». Regole necessarie, spiega, per non essere fraintesi, per non mettere a rischio la credibilità della categoria e per non offendere nessuno. «Determinati termini, alcune parole specifiche, vengono bannate in automatico. Per evitare che compaia qualche meme di cattivo gusto, sia per i colleghi che per i pazienti, effettuiamo un ferreo controllo preventivo. Abbiamo circa quindici moderatori. Per noi è fondamentale».
Anche perché non tutti i colleghi capiscono lo spirito con cui vengono realizzati determinati contenuti, forse anche per questioni d’età e di una diversa concezione dell’umorismo e dell’ironia: «Mi è capitato – spiega Gambadoro – di ricevere minacce da persone che volevano denunciarmi all’Ordine dei medici perché, a loro dire, mettevo in cattiva luce la categoria. Il rigido controllo che effettuiamo sulla qualità dei meme serve anche ad evitare queste situazioni».
Il dottor Gambadoro chiarisce subito che tra le finalità del progetto non c’è il guadagno economico: «Molti gruppi simili al nostro rientrano delle spese o guadagnano qualcosa attraverso il merchandising. Noi abbiamo scelto di non sporcare la nostra immagine in questo modo. Le magliette e le penne brandizzate le abbiamo fatte realizzare a nostre spese e non sono in vendita. Le regaliamo ai colleghi mematori più meritevoli».
Ma per spiegare, da un lato, i motivi di un successo così grande e, dall’altro, in che modo un’attività del genere possa influire positivamente sul lavoro e sulla qualità della vita del “memedico” (così si chiamano tra di loro i membri del gruppo), Gambadoro ricorre ai concetti di catarsi tragica e catarsi comica: «Durante il primo lockdown, la prima reazione “social” della classe medica è stata la creazione di un gruppo Facebook, che al momento conta oltre 100mila membri, in cui esprimere le proprie preoccupazioni, le proprie paure, lo stress che si provava in quei mesi in cui i medici sono stati messi sotto pressione, senza dispositivi di protezione, senza certezze su cosa fosse questo virus, e così via». Questo tipo di risposta è la “catarsi tragica”.
Questo gruppo andava e va invece nella direzione opposta. «Noi avevamo bisogno di sfogarci perché la vita si era fatta troppo dura per poter continuare ad appesantirci a vicenda con i nostri problemi. Volevamo fare qualcosa di più leggero per distrarci. Per noi la soluzione, dunque, non era non parlare dei nostri problemi ma farlo con un tono ironico ed autoironico. Dire cose vere ma in un modo divertente. In una realtà come quella sanitaria, in cui la competizione tra professionisti è molto alta, i meme creano amicizia, complicità». Sfogarsi e sorridere grazie ai meme, dunque, è la “catarsi comica”.
Ma la “catarsi comica” non si esaurisce ai meme. «Parallelamente al gruppo principale ne abbiamo creato anche uno di incontri (Memedicaltinder, circa 5.600 iscritti) per medici single e uno per medici appassionati di videogiochi, fumetti e cose del genere (Memedicalnerd, circa 2.500 persone)». Il primo, in particolare, è nato nel pieno della pandemia quando era fisicamente difficile incontrare altre persone, a maggior ragione se parliamo di persone che erano in prima linea nella lotta al Covid: «Per un medico è stato molto difficile incontrare altre persone – spiega Gambadoro –, sia perché queste si preoccupavano dell’eventualità del contagio sia perché ce ne preoccupavamo noi. Stando tutti i giorni in corsia, avevamo timore di poter contagiare altre persone. Se ad incontrarsi sono due medici, invece, è un po’ come vedersi in corsia». E l’idea sembra funzionare: «Ci sono stati diversi appuntamenti e sono nate alcune coppie».
Esiste anche un gruppo musicale (la Memedical Band), del quale fa parte lo stesso Gambadoro, composto da diversi medici-musicisti che suonano ognuno il suo strumento a distanza e poi mettono insieme i vari contributi per creare un video con la canzone finale. Ma oltre questo le idee in cantiere sono tante: «Vorrei creare un grande raduno di tutti i memedici in Italia, ma visto che prevedo un afflusso di almeno 2-3mila persone (solo a Roma sono 10mila le persone iscritte al sito) vorrei farlo per bene, affidandomi ad un’agenzia esterna. Ovviamente è ancora presto per poterlo organizzare, ci vorrà almeno un anno. Ma prima o poi lo faremo».
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