Nei due pilastri della riforma della sanità territoriale prevista dal PNRR, secondo il presidente del Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, l’assistente sociale è solo “fortemente raccomandato” e comunque è in carico ai servizi comunali. Sul Reddito di Cittadinanza spiega: «Va rivisto ma tenuto, tutti i paesi europei hanno una misura di contrasto alla povertà»
“Non c’è salute senza sociale” è uno slogan molto in voga di questi tempi, ripetuto spesso anche dal Ministro Roberto Speranza. Parole, però, che non sembrano trovare attuazione nel concreto, come spiega a Sanità Informazione Gianmario Gazzi, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali: al momento, infatti, nelle Case e negli Ospedali di Comunità che saranno il perno della riforma della sanità territoriale prevista dal PNRR non è prevista una dotazione di assistenti sociali in carico al Servizio Sanitario Nazionale.
«Sui documenti che abbiamo visionato sinora questo sociale all’interno del sistema salute non si vede» commenta Gazzi, che aggiunge: «Nelle case di comunità i servizi sociali che sono ‘fortemente raccomandati’ sono quelli in carico ai comuni, non ci sono assunzioni in sanità». Gazzi poi difende il Reddito di Cittadinanza, che «va rivisto ma va mantenuto perché tutti i paesi europei hanno una misura di contrasto alla povertà». E poi si dice deluso dalla riforma delle lauree abilitanti che per ora esclude gli assistenti sociali.
«Siamo in attesa di un testo definitivo. Abbiamo visto come positivo quanto scritto nella Nadef dove viene dichiarato che si supererà quel blocco che impedisce a molti comuni di raggiungere il famoso tetto di 1 assistente sociale ogni 6500 abitanti che dà accesso a ulteriori finanziamenti. Andrebbero usati i fondi di solidarietà comunale per raggiungere quella quota, ma aspettiamo il testo per comprenderne la portata. In tutti i casi chiediamo un investimento sin generale sul welfare. Gli Ordini non sono un sindacato. Noi facciamo una battaglia perché vengano garantite alle persone le opportunità previste nella Carta costituzionale. Il principio è che senza servizi quei diritti non li garantisci. Ora negli ultimi 20-30 anni di austerity abbiamo visto considerare tutto il welfare territoriale sia sociale che sanitario come una spesa improduttiva. In realtà così non è. Noi abbiamo chiesto il potenziamento del servizio degli enti locali e anche della sanità e misure specifiche per la domiciliarità».
«Anche la sanità dovrebbe assumere assistenti sociali. Ma abbiamo visto delle bozze di documenti prodotti in Agenas su cui abbiamo molte perplessità come per le Case di comunità e gli Ospedali di comunità l’assistente sociale è ‘fortemente raccomandato’. Ma cosa vuol dire? Il ministro Speranza ha detto più volte che non c’è salute senza sociale. Però sui documenti questo sociale all’interno del sistema salute non si vede. Lo vedo sempre esternalizzato ai comuni che sono già in difficoltà con i servizi normali. Nell’Ospedale di comunità, per come è stato delineato nei documenti presentati sino a questo momento, la componente sociale non c’è. Eppure molte persone che vengono ospedalizzate, soprattutto anziane e non autosufficienti, se non hanno una cura domiciliare che comprenda tutta la gamma di servizi che possono essere costruiti, tendenzialmente tornerà in ospedale.
«Qui i servizi sociali sono fortemente raccomandati ma ci si riferisce a quelli dei comuni. Continuo a non capire perché dobbiamo sempre scaricare sul Comune e sull’ente locale anche funzioni della sanità. In molti territori non c’è più il servizio sociale all’interno degli ospedali. In Italia c’è un problema culturale. Purtroppo in italiano per esprimere il concetto di ‘cura’ esiste solo una parola mentre in inglese c’è differenza tra ‘cure’ e ‘care’, tra cura e assistenza. Il punto è che se continuiamo a pensare che il problema salute sia solo un problema di terapia, di somministrazione di farmaci, di terapie si continuerà a non vedere il resto. Sappiamo che un approccio meramente terapeutico sanitario in senso stretto e non olistico aumenta il rischio di ulteriori spese sanitarie».
«Invece non sono soldi buttati. Noi abbiamo appoggiato le proposte sia di Alleanza contro la povertà che di Caritas. Sosteniamo che va rivisto in alcune parti, soprattutto quelle che collegano povertà e politiche attive del lavoro. Vanno fatti quegli interventi che tutti avevano sollecitato. Ma tutti i paesi europei hanno una misura di contrasto alla povertà. Il punto che è che molte delle persone che ricevono il Reddito di Cittadinanza oggi non sono occupabili. Non è vero che vogliono stare sul divano. Non è una misura meramente economica ma richiede specificamente la presenza di équipe multidisciplinari perché molte delle persone possono avere una disabilità, un problema psicologico, problemi di salute mentale. Sono persone che vanno accompagnate. Chiunque dica che sono persone che vogliono stare sul divano mente sapendo di mentire».
«Non siamo soddisfatti. Rimane il problema di ragionare sui percorsi formativi dei professionisti. Ad oggi non siamo ricompresi nel novero delle lauree abilitanti. Quello che avevamo chiesto era di rivedere il percorso formativo di tutti gli assistenti sociali aumentando tutte quelle che sono le cosiddette materie di indirizzo, specifiche del servizio sociale, prevedendo un investimento maggiore. Una cosa che chiediamo da anni. Il testo di legge avrebbe potuto contenerlo ma da parte del Governo ci è stato risposto che c’era fretta in vista del PNRR e andava approvato così. Il risultato è che noi siamo fuori da questa riforma. Stando alle dichiarazioni della ministra Messa, si farà un tavolo per le altre professioni ma non c’è ancora nessuna notizia in merito».
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