L’assessore alla Sanità dell’Umbria, responsabile Salute della Lega, chiede di abolire l’accesso programmato a Medicina: «Mancano cardiologi, anestesisti e infermieri. Il Governo è immobile e non dà soluzioni»
Cancellare il numero chiuso a Medicina e nelle altre facoltà sanitarie e creare un biennio comune dopo il quale porre una selezione. È la proposta di Luca Coletto, assessore alla Salute della Regione Umbria e responsabile Sanità della Lega che punta all’abolizione dell’accesso programmato all’università per superare la carenza di camici bianchi che si registra ormai da tempo in Italia.
«Abbiamo zone scoperte per quanto riguarda i medici di medicina generale e mancanza di copertura della medicina di base. Abbiamo problemi da dieci anni a questa parte con gli anestesisti e con altri professionisti come reumatologi e specialisti della medicina interna. Non è possibile ricorrere a medici stranieri. Continuiamo ad con il numero chiuso, ma è antistorico» spiega Coletto a Sanità Informazione.
Non è la prima volta che la Lega contesta il numero programmato a Medicina. Già durante il primo governo Conte, quello gialloverde, in Parlamento erano state presentate numerose proposte volte all’abolizione del numero chiuso e in un Consiglio dei ministri si fu a un passo dalla storica decisione. Oggi invece la ministra dell’Università Maria Cristina Messa non ha abolito il numero programmato ma ha avviato una riforma del test di accesso con un percorso che potrà iniziare già dal quarto anno di Liceo.
«La riforma non risolve il problema – spiega Coletto -. Credo che in un momento come questo dove abbiamo difficoltà a reperire medici dobbiamo fare una selezione durante il primo biennio che potrebbe essere un biennio unico per Farmacia, Biologia e Medicina.
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«Il mio padrone sono i pazienti, non i rettori e io devo rispondere ai pazienti e ai cittadini elettori».
«Mancano i cardiologi, mancano gli anestesisti come del resto in tutta Italia, mancano i medici di base. Da circa dieci anni continuiamo a dire che si rischia di rimanere scoperti ma le borse di studio non sono aumentate a sufficienza e tantomeno gli accessi all’università. Il paradosso è che fino a due anni fa si laureavano e venivano abilitati circa diecimila medici. Oggi le borse sono passate da 6mila a dodicimila, ma per recuperare l’imbuto informativo servono ancora anni».
«È così. Il DM71 che ha riformato il territorio prevede accanto all’MMG anche l’infermiere di famiglia e di comunità. Mancano tante professioni ma il governo è immobile e non dà soluzioni».
«Peccato non essere andati avanti. A pagare il conto è sempre il territorio che trova come referenti le regioni, non il governo. Il problema si è fermato sul territorio. Oggi il ministero non vuole cancellare il numero chiuso. Quando io ero sottosegretario alla Salute avevo chiesto che gli specializzandi andassero in reparto già dal primo anno: sono riuscito ad ottenere che andassero dal terzo anno in poi. Ma è ancora troppo poco».
«Assolutamente sì. In commissione Salute sono stato io a chiedere le risorse anche per il personale. Inutile costruire le case di comunità o gli ospedali di comunità o le centrali operative territoriale se non c’è personale a sufficienza. Le case e gli ospedali di comunità sono strutture a governo prevalentemente infermieristico. Bisogna essere attenti quando si fanno queste cose: se non vogliamo far fallire una riforma così importante il numero chiuso va tolto, serve un biennio comune e i più meritevoli, superato il biennio, vanno avanti. Quello è l’esame, non c’è bisogno di altro test. I più meritevoli vanni, gli altri magari fanno gli infermieri».
«Ma come mai prima del 1999 erano invece in grado di accoglierli?».
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