Lavoro e Professioni 25 Febbraio 2020 11:45

Coronavirus, la situazione in Veneto: Leoni (OMCeO Venezia): «Importante che non si ammalino medici e infermieri»

«Diversi medici sono stati sottoposti al tampone. Non facciamo parte della cabina di regia e quindi non conosciamo i dati veri. Contro la diffusione del virus serve la quarantena». Così il presidente dell’Ordine dei Medici di Venezia Giovanni Leoni

«La Repubblica Serenissima ha sconfitto la peste con la quarantena e i lazzaretti. Dobbiamo ripartire da lì. Purtroppo noi non facciamo parte dei tavoli operativi, quindi possiamo solo accettare le decisioni che vengono prese. Ma potrebbe essere una buona idea coinvolgerci, visto che conosciamo molto bene la realtà in cui lavoriamo, in prima linea, tutti i giorni». Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Venezia, spiega a Sanità Informazione come stanno vivendo i camici bianchi l’emergenza Coronavirus scoppiata in questi giorni, cosa ha fatto l’Ordine per limitare la diffusione del virus all’interno della categoria e quali proposte potrebbero essere messe in campo per aiutare la popolazione ad evitare il contagio.

Presidente Leoni, che aria si vive negli ospedali veneti, qual è il morale dei medici?

«Il morale è ottimo, sia per quanto riguarda i medici del territorio sia per i medici ospedalieri. La cosa più importante in questo momento è ottemperare alla Direttiva Ministeriale che impone di dare adeguati presidi di protezione a medici e infermieri. Quindi mascherine, disinfettanti, guanti, camici monouso, insomma tutto quello che serve per avere una certa sicurezza, una riduzione dei possibili contagi dovuti ai contatti entro due metri, che sono quelli più rischiosi».

Cosa avete fatto come Ordine per cercare di proteggere i vostri iscritti?

«Sabato scorso abbiamo pubblicato un corso di formazione di 35 pagine, ripreso anche dalla FNOMCeO, incentrato proprio sul Coronavirus e dedicato ai medici. C’è da dire che da quando è stato chiuso, ovvero una decina di giorni fa, tante cose sono cambiate e quindi, in certe parti, è già vecchio. Quel che resta è la base epidemiologica, scientifica e biologica del virus. Quella resta assolutamente valida e deve essere riconosciuta il più possibile dai colleghi, che infatti l’hanno già scaricato centinaia di volte.

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Cos’è fondamentale in questo momento?

«È importante non perdere unità e, soprattutto, che non si ammalino i medici e gli infermieri. Perché la gente ha continuato a lavorare: negli ultimi giorni ero in ospedale, sono un chirurgo generale tutt’ora in attività anche se part time, e ho lavorato in ambulatorio con la mascherina sulla faccia. Anche se io personalmente non sono a rischio perché non ho frequentato i reparti dove c’erano questi pazienti, mi sono sentito in dovere, io e i miei colleghi, di dare agli utenti la maggior protezione possibile, perché ci troviamo in ambienti promiscui, come le sale d’attesa e gli ambulatori. Nel mio ospedale abbiamo sospeso gli interventi chirurgici. Ieri un reparto è stato trasformato in un’area in cui decine e decine di medici e operatori sono venuti a farsi il tampone perché erano stati a contatto, tra pronto soccorso, medicina, geriatria e rianimazione, con i soggetti positivi. Per il momento, incrociamo le dita, sono tutti negativi».

State dialogando con le istituzioni, magari per proporre qualche provvedimento a tutela della salute dei cittadini e dei camici bianchi?

«Noi dobbiamo entrare nei tavoli di regia perché non conosciamo i dati. Ad oggi, possiamo ragionare solo in base a quel che leggiamo dalla stampa, alle nostre conoscenze e a quel che viviamo tutti i giorni. È vero che noi siamo dipendenti o medici convenzionati, ma siamo anche rappresentanti delle istituzioni. Noi rappresentiamo i nostri colleghi e quindi dobbiamo essere presenti ai tavoli dove si prendono le decisioni. È giusto che anche noi possiamo dire la nostra da esperti, da gente che lavora tutti i giorni sul fronte, possiamo dare il nostro contributo a quello che è il quadro complessivo della faccenda».

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E quindi cosa si può fare di più per contenere il contagio?

«Tutti sono d’accordo che la quarantena di isolamento è il sistema più sicuro, e infatti è una cosa che è stata fatta in maniera anche abbastanza rigida. Bisogna vedere se si potrà continuare a farlo, se il ritmo resta questo, perché se cominciamo ad isolare tutti quanti gli ospedali, man mano che i casi si moltiplicano, se si moltiplicano, non so come ne veniamo fuori. La cosa più importante in questo momento è capire come si è diffusa questa patologia che ormai è residente, cioè non la importiamo più, la circolazione del virus è dentro il territorio nazionale. Certo, per il momento è circoscritta in alcune aree, ma oggi è così e vediamo domani come va. Io sono stato di guardia mentre a Venezia c’era il Carnevale. L’ho detto il giorno prima, “va bene, non sono nella cabina di regia ma mi affido alle disposizioni di gente che è più dentro di me in questa situazione”. Ricordo a tutti che la Repubblica Serenissima si è salvata dalla peste grazie alla quarantena e alla costruzione dei lazzaretti, cioè dove stavano gli appestati. A quei tempi le navi che portavano i carichi dalle indie dovevano restare ferme in mare per circa un mese prima di scaricare la merce. In questo modo si era sicuri che non ci fossero problemi. Dobbiamo ripartire da lì».

 

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