La Cassazione Civile, sez. III, con la sentenza n. 25849/17 valutando la richiesta dei genitori di un minore che avevano convenuto in giudizio l’azienda ospedaliera per richiedere il risarcimento del danno derivante dall’omessa informazione sulle malformazioni del feto, ha sancito che il danno psichico collegato al diritto di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza è provabile anche […]
La Cassazione Civile, sez. III, con la sentenza n. 25849/17 valutando la richiesta dei genitori di un minore che avevano convenuto in giudizio l’azienda ospedaliera per richiedere il risarcimento del danno derivante dall’omessa informazione sulle malformazioni del feto, ha sancito che il danno psichico collegato al diritto di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza è provabile anche per presunzioni.
La Suprema Corte, infatti, specificando meglio i termini dell’onere della prova in relazione al danno, ha precisato che i genitori devono dimostrare che in caso di tempestiva informazione avrebbero esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza, ma «quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova in atti, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando invece sul medico la prova contraria, i.e. che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale».