Il Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani si dice favorevole ai ricorsi dei medici di medicina generale per richiedere il risarcimento di quanto non percepito, rispetto agli specialisti, durante il corso di formazione. E spiega i motivi della mancata firma dell’ACN
Come far fronte alla carenza di medici di medicina generale, soprattutto nelle regioni settentrionali, dei prossimi anni? Pina Onotri, Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani (SMI), ha in mente diverse possibili soluzioni. Partendo dalla revisione della programmazione regionale e passando per l’introduzione di una graduatoria su base nazionale, il punto centrale è la necessità di incentivare i giovani ad intraprendere il percorso di formazione che li renderà medici di medicina generale. In che modo? Restituendo pari dignità al corso di medicina generale, rendendolo un corso di specializzazione universitaria con un trattamento economico equivalente.
Ma intanto, in attesa di eventuali cambiamenti strutturali, la dottoressa accoglie con favore la possibilità di intraprendere la via giudiziaria per richiedere il risarcimento di quanto non riconosciuto ai medici di medicina generale e invece garantito agli specialisti. Un trattamento che molti definiscono discriminatorio per il quale anche lo SMI, annuncia la Onotri a Sanità Informazione, avvierà ricorsi nei tribunali. Poi, rivela perché il sindacato firmerà l’ACN nonostante sia in disaccordo con alcuni punti della pre-intesa, ponendo l’attenzione su come cambierà il ruolo del medico di medicina generale.
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Dottoressa, lo SMI non ha firmato l’ACN. Per quale motivo?
«Non abbiamo firmato per consentire un approfondimento dei temi trattati nella pre-intesa all’interno della nostra organizzazione. Ci sono diverse cose che non ci hanno convinto: per riassumerle, pensiamo che non si possa demandare obiettivi di salute nazionale agli accordi integrativi regionali. Le risorse nazionali vanno impiegate per gli obiettivi nazionali, come il piano della presa in carico del cronico, le vaccinazioni o gli accessi impropri ai Pronto soccorso; le risorse regionali devono essere destinate per obiettivi individuati al livello delle regioni. Poi non ci convince il fatto che l’accesso in graduatoria non tenga conto dei medici precari equivalenti ed equipollenti che, pur non avendo il titolo di abilitazione post laurea, da almeno venti anni ricoprono servizi come la guardia medica o le sostituzioni. In questa bozza non si parla né della medicina dei servizi né del 118, per non parlare della medicina penitenziaria, e non siamo d’accordo neanche sulle modifiche al diritto di sciopero».
Quindi non firmerete…
«Purtroppo i sindacati che non sono firmatari a livello nazionale vengono esclusi dai tavoli decentrati. Anche questa norma che esclude le sigle rappresentative a livello locale secondo noi è iniqua e dovrebbe essere rimodulata. Però sicuramente firmeremo per poter partecipare ai comitati aziendali e regionali».
Capitolo carenza di medici di medicina generale. Quali sono le cause e cosa andrebbe fatto, secondo lo SMI, per superare questo problema?
«Alla base c’è sicuramente un’errata programmazione delle borse di studio da parte delle regioni. Non è vero infatti che il problema è uguale per tutte le regioni. Abbiamo ancora una grossa pletora di medici di medicina generale nelle regioni del centro-sud e una carenza nelle regioni del nord. Per risolvere la situazione quindi forse si potrebbe fare una graduatoria su base nazionale e incentivare i giovani medici a trasferirsi dalle regioni a più alta densità di professionisti a quelle che ne sono carenti. E poi dovremmo incentivare i medici a scegliere il corso di formazione, che oggi non è una specializzazione e che viene pagata esattamente la metà rispetto ad un corso di specializzazione e non tutti possono permettersi, a 30 o 35 anni, di portare avanti degli studi a 800 euro al mese. Dobbiamo restituire pari dignità ai due percorsi formativi. Io penso che il corso di medicina generale debba diventare una specializzazione, come nella maggior parte degli stati europei».
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Nel frattempo però si inizia a sentir parlare di ricorsi dei medici di medicina generale per ottenere il risarcimento di ciò che non hanno percepito durante il corso di formazione e che invece è riconosciuto agli specializzandi…
«Ben vengano i ricorsi. Il Sindacato dei Medici Italiani che è stato fortemente promotore dei ricorsi degli ex specializzandi e per noi è doveroso occuparci anche di questo aspetto. Se non è la legge a prevedere l’uguaglianza dei due corsi, che cominci a riconoscercelo un giudice».
Quindi secondo voi in attesa di un intervento legislativo che porti all’equiparazione dei due corsi è bene intraprendere la via giudiziaria. È corretto?
«Assolutamente sì».
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Per concludere, in base alla sua esperienza di medico di medicina generale, qual è il ruolo che si sente di coprire nella società e quale evoluzione immagina nei prossimi anni?
«Sicuramente noi svolgiamo una funzione sociale importantissima, direi quasi sciamanica: noi carichiamo sulle nostre spalle le sofferenze delle persone e in qualche maniera le tranquillizziamo. Però è chiaro che il medico come veniva immaginato una volta, da solo nel suo studio con la sua valigetta, è ormai obsoleto di fronte ad una domanda complessa di salute. Ben vengano i medici che lavorano in gruppo, ma non bisogna neanche snaturare quello che è il rapporto fiduciario tra medico e paziente, che è una cosa unica e tutta italiana. È un valore aggiunto e io direi che dal dopoguerra in poi sia stato la chiave di volta del miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Noi siamo infatti l’unico front office che è sempre accessibile da parte della popolazione. E anche per questo siamo una barriera sociale e ci facciamo carico della persona a 360 gradi».