Il presidente dell’Associazione italiana podologi: «In prima linea per il riconoscimento della nostra professione nel SSN. L’assenza di podologi negli ospedali è un grave danno per i pazienti, costretti a pagare le cure di tasca propria»
Monitorare la comparsa di macchie simili a geloni, soprattutto tra bambini e adolescenti, per scovare una possibile correlazione con il Covid-19: è stato questo uno dei principali impegni dei quasi 2mila podologi italiani durante il lockdown ed anche ora, nella fase 2 della pandemia. «Siamo stati invitati ad una sorveglianza speciale – dice Valerio Ponti, presidente dell’Associazione italiana podologi -, poiché alcuni studi nazionali ed internazionali avrebbero collegato la comparsa di queste lesioni cutanee al Covid-19. Macchie rosacee o violacee, anche di pochi millimetri, che evolvendosi possono diventare quasi nere. Compaiono alle estremità degli arti, più frequentemente sulle dita dei piedi. Ma, per ora, il possibile collegamento tra queste manifestazioni cutanee e il Covid-19 non è stato accertato scientificamente, poiché i pazienti osservati sono ancora troppo pochi e non tutti sono stati sottoposti al tampone per confermare la positività al virus».
I podologi italiani hanno fornito il loro supporto soprattutto attraverso la teleassistenza: «In particolare – spiega Ponti -, quando contattati da un paziente preoccupato per la comparsa di geloni, lo abbiamo invitato ad inviare video e foto periodicamente, per poi valutare l’evoluzione delle macchie e, eventualmente, indirizzarlo verso i percorsi previsti per i casi sospetti di Covid-19».
La stessa assistenza a distanza è stata utilizzata anche per tenere sotto controllo tutti gli altri pazienti già in corso di trattamento, «nella maggior parte dei casi – sottolinea il podologo – in regime completamente gratuito. I pazienti con piede diabetico, reumatico, o con infezione in corso, considerati ad altissimo rischio, invece, hanno ricevuto assistenza presso gli studi dei podologi, ovviamente con tutte le precauzioni del caso. Sebbene la chiusura dei nostri ambulatori non sia stata mai prevista, per senso civico e per tutelare la salute del cittadino – aggiunge il presidente Aip – ci siamo riservati i controlli vis à vis solo in caso di urgenze».
Presto gli studi professionali riapriranno a pieno regime. Ma, intanto, i podologi già lavorano alla realizzazione di numerosi progetti, alcuni di immediata realizzazione, altri più a lungo termine. «Purtroppo, a causa della pandemia, abbiamo dovuto annullare il nostro consueto Congresso nazionale, giunto alla 34esima edizione. Per questo, ora – spiega Ponti – stiamo dirottando l’aggiornamento professionale verso corsi di formazione a distanza. Inoltre, come associazione siamo in prima linea affinché la nostra professione sia presto riconosciuta all’interno del Sistema Sanitario Nazionale. La nostra categoria opera quasi totalmente in regime libero-professionale e l’assenza di podologi all’interno degli ospedali è un grave danno per il cittadino, a cui non viene offerta alcuna prevenzione per le patologie podaliche. In questo modo – spiega il presidente Aip – rischiamo di avere pazienti di serie A, che possono permettersi una cura podologica privata, ed altri di serie B, che non hanno le risorse economiche per provvedere autonomamente ai trattamenti di cui hanno bisogno, con il rischio di vedere aggravata la propria condizione di salute. Un problema enorme soprattutto per quei soggetti che soffrono di piede diabetico e reumatico, patologie che l’Oms – conclude – ha definito “pandemie del futuro”».
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