Lavoro e Professioni 27 Luglio 2021 12:18

«Precariato infermieri, dati allarmanti. In 6 anni persi 100mila posti di lavoro». L’indagine Nursing Up

Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, commenta il «desolante quadro» emerso dallo studio

«Precariato infermieri, dati allarmanti. In 6 anni persi 100mila posti di lavoro». L’indagine Nursing Up

«Quale futuro si prospetta per la sanità italiana se si continua ad assumere con il contagocce? È un interrogativo inquietante, ma che inevitabilmente noi sindacati del personale infermieristico dobbiamo porci, alla luce di quegli sparuti concorsi che ci sono, più unici che rari, che mettono a disposizione pochissimi posti a tempo indeterminato, quando invece servirebbero infermieri stabilizzati, leva insostituibile per la crescita strutturale di un sistema già da tempo febbricitante». Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«I numeri parlano chiaro – continua De Palma –: in Italia mancano 80mila infermieri, e le promesse da marinaio di Governo e Regioni, nel momento più difficile, quello della pandemia, si sono tradotte in appena 31.990 unità inserite da nord a sud, di cui tuttavia solo 8.757 assunte a tempo indeterminato. Il Sud in particolare si attesta su numeri davvero desolanti con soli 690 contrattualizzati a tempo indeterminato a fronte di 8.085 reclutamenti».

Gli infermieri scarseggiano, come sostengono i dati Ocse: «Abbiamo 2,5 infermieri ogni medico, la media tra le più basse d’Europa. Senza considerare il misero stipendio medio inchiodato a 1400 euro al mese, tra i più bassi del vecchio continente».

Ma quanti sono gli infermieri dipendenti del nostro Ssn e quanti di questi sono regolarmente assunti a tempo indeterminato? Continua a calare il numero dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale: «Dal 2009 al 2017 – sostiene Nursing Up – la sanità pubblica perdeva oltre 46.500 operatori, con una contrazione del 6,2%. È quanto emergeva dal Conto Annuale della Ragioneria dello Stato 2017, che analizzava i dati del personale della Pubblica Amministrazione».

Secondo le stime OMS, entro il 2030 ci sarà una carenza mondiale di oltre nove milioni di infermieri e ostetriche, a meno che non vengano tempestivamente intraprese azioni radicali. Qual è la situazione italiana? De Palma entra nel dettaglio: «La FNOPI sosteneva con un suo report del 2015, che su 440mila iscritti all’albo, 371mila erano gli infermieri dipendenti occupati. Dato all’epoca confortante».

Ed oggi, a distanza di 6 anni, cosa accade? «Gli infermieri dipendenti a contratto nelle strutture pubbliche nel 2020 sono 269mila su 456mila iscritti all’albo». E di questi quanti sono i precari oggi? «I dati della Corte dei Conti del 2020 sul precariato sono allarmanti. Infermieri: personale a tempo determinato e interinale cresciuto del 63%. Se il personale medico precario è cresciuto lo stesso si può dire anche di quello infermieristico. Tra tempo determinato e interinali il loro numero è passato dalle 9.769 unità del 2012 alle 15.991 del 2017, una salita del 63%. Nello specifico i contratti a tempo determinato sono aumentati del 58% (+4.959 unità) e quelli interinali del 96% (+1.262 unità). La Regione che ha assunto più precari è la Puglia con un incremento del 244%. Aumenti elevati anche in Liguria (+181%), Toscana (+121%), Emilia Romagna (+81%). Le uniche due Regioni ad aver diminuito il ricorso a infermieri precari sono la Basilicata (-16%) e la Valle d’Aosta (-139%)».

Secondo Nursing Up, «il quadro è desolante: gli infermieri precari sono in aumento del 63% e si calcolano quasi 100mila infermieri dipendenti in meno negli ultimi 6 anni».

E alla luce di questa situazione, mentre dovrebbero aumentare a vista d’occhio, considerata la carenza di infermieri salita alle stelle con il Covid, le realtà concorsuali finalizzate ad assumere, gli inserimenti degli infermieri a tempo indeterminato «procedono con il contagocce – continua De Palma – senza tenere conto delle esigenze dei malati cronici, dell’aumento dei soggetti fragili e naturalmente del fatto che il precariato in così forte aumento, e una media stipendi così bassa, sono i segnali preoccupanti di una mancata valorizzazione della categoria che rimane utopia pura e che ci condurrà verso una sempre maggiore debolezza strutturale nell’erogazione delle prestazioni sanitarie ai cittadini, nonostante l’indubbia qualità delle professionalità a disposizione».

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