Il rettore dell’ateneo Tor Vergata di Roma è intervenuto al Congresso ANTEL a Roma. «Credo sia giunto il momento che le professioni sanitarie guardino anche alla carriera universitaria perché sono in grado di farlo» sottolinea ai microfoni di Sanità Informazione
«La prossima sfida delle professioni sanitarie è quella di ottenere dei master universitari». L’auspicio arriva dal rettore dell’Università di Tor Vergata Giuseppe Novelli che ha aperto il Congresso dell’ANTEL, l’associazione italiana dei tecnici di laboratorio biomedico, ricordando il professore Francesco Lo Coco, luminare dell’ematologia italiana scomparso l’anno scorso. Novelli, che ha guidato l’Osservatorio per le professioni sanitarie, ha ricordato l’impegno svolto per la creazione dei master universitari per le professioni sanitarie e vede ormai possibile un impegno universitario per questi professionisti che, con la legge 3 del 2018, sono in gran parte confluiti nel maxi Ordine delle professioni sanitarie. «Bisogna cercare di venire incontro a queste nuove tecnologie», sottolinea a Sanità Informazione. «Il mercato del lavoro cambia continuamente, così come cambia il laboratorio biomedico oggi sempre più automatizzato».
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Rettore, perché è importante istituire il dottorato per le professioni sanitarie?
«Perché la professionalità sta cambiando, il modo di lavorare in tutte le professioni sanitarie, dal laboratorio fino alla radiologia, è in continua evoluzione. La medicina di oggi è tutta un’altra cosa. Il corso di Laurea così com’è, con i sistemi rigidi di materie, vale ancora per affrontare il mondo? Secondo me c’è da fare qualcosa in più. Il dottorato di ricerca aiuta in questa direzione, ti forma, ti dà l’opportunità di acquisire un titolo riconosciuto in tutto il mondo, ti dà una possibilità, insieme al master che è diverso perché è professionalizzante domani mattina. Richiede un investimento ma è il massimo titolo universitario. Credo dunque sia giunto il momento che le professioni sanitarie guardino anche alla carriera universitaria perché sono in grado di farlo».
Lei ha parlato anche dei profili occupazionali delle professioni sanitarie. Quali sono le sfide per il futuro?
«L’esperimento delle lauree triennali delle professioni sanitarie è l’esempio più bello che l’Università italiana ha prodotto perché ti dà la possibilità di avere una laurea professionalizzante e tu domattina lavori se riesci a trovare un posto. Naturalmente il mercato del lavoro cambia in continuazione: il laboratorio analisi non è più il biologo o il tecnico che fa le analisi. Oggi ci sono macchine automatizzate, robotizzate. Questo cambia tutto. Allora bisogna cercare di venire incontro a queste tecnologie nuove. Sono tecnologie complesse come quella dell’analisi dei big data. Oggi mandano avanti tutto il laboratorio. Noi abbiamo bisogno di laureati che studiano e capiscono i big data. Ci vuole un professionista, io non saprei muovermi tra questa mole di dati. Servono professioni nuovi. Questo o ce l’hai nella laurea o lo devi acquisire».