Il Presidente della commissione d’Albo nazionale degli educatori professionali chiede nuove assunzioni in vista della riforma dell’assistenza territoriale. Tra i problemi anche una disomogeneità nella presenza dei corsi di laurea sul territorio nazionale, con corsi di laurea in educazione professionale scarsamente presenti nel sud Italia
Dalla formazione al mondo del lavoro, dalla riforma dell’assistenza sanitaria territoriale alla lotta all’abusivismo. Renato Riposati, presidente della commissione d’Albo nazionale degli Educatori professionali (professione oggi nella Federazione nazionale TSRM PSTRP) parla a Sanità Informazione dei fronti caldi della professione, a cominciare dal problema della sovrapposizione sorta nel tempo con la figura dell’operatore socio pedagogico. «Invece di unificare la formazione a livello legislativo si è assistito ad una continua azione e produzione di norme, che producono una frammentazione della figura professionale relativa alle possibilità di esercizio» spiega Riposati, che poi ribadisce: «Del tutto prive di senso logico sono le affermazioni che si leggono nei social o in alcuni articoli di giornale secondo le quali, visto che l’Ordine professionale al quale appartiene la figura dell’Educatore professionale del 520/98 è sotto l’egida del Ministero della Salute, non ci si deve iscrivere all’Albo quando si lavora in ambito sociale». In vista della riforma dell’assistenza sanitaria territoriale, anche Riposati chiede che al fine di dare attuazione a quanto previsto dal DM71 «è necessario procedere ad un’importante campagna di reclutamento».
«Il DM 71 definisce nuovi modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale, modelli che vedono una nuova progettazione dei servizi indirizzata a rendere i servizi “centrati sulla persona in risposta alla maggioranza dei problemi di salute del singolo e della comunità nel contesto di vita”. Si tratta di un modello che nella sua articolazione e sviluppo è in linea con le funzioni cui l’educatore professionale (Ep) è già chiamato a svolgere nell’ambito dell’attuale modalità operativa che vede la nostra figura professionale già impegnata nei servizi dell’area della integrazione socio-sanitaria e già operante con il modello di lavoro in equipe multiprofessionale.
L’EP per mandato e formazione, ha una spiccata propensione per la relazione e le relazioni, con i singoli, i gruppi, la collettività, tipicamente in presenza; in un contesto prepandemico non avremmo mai pensato di poter essere fruitori e propositori di strumenti di telemedicina, strumento mai utilizzato fino a quel momento se non episodicamente e in specifici casi. Ebbene il Covid ha rivoluzionato le prassi operative e molti colleghi si sono attivati non solo nel campo della prevenzione ma anche nella cura, nel sostegno e nelle attività riabilitative attraverso tali strumenti, trovando in essi ulteriore efficacia ed indispensabilità nel periodo successivo all’emergenza vera e propria, anche in riferimento all’ottimizzazione delle risorse. Come EP oggi, oltre che essere forti utilizzatori degli strumenti di telemedicina in molti contesti, abbiamo incentivato l’utilizzo di questi strumenti da parte dei nostri utenti cercando di implementare competenze e conoscenze al fine di poter utilizzare tali metodologie e tecniche in un’ottica proattiva nei loro confronti. In qualità di professione sociale e sanitaria territoriale per eccellenza è nel nostro DNA connettere i bisogni degli assistiti con le reti e le risorse territoriali che possono essere attivate all’occorrenza, anche insegnando loro come essere in prima persona attivatori e fruitori delle risorse socio-economiche della rete dei servizi o accompagnandoli direttamente nell’acquisizione delle conoscenze relative alle reti territoriali. L’EP svolge la sua attività professionale, nell’ambito delle proprie competenze, in strutture e servizi sanitari, socio-sanitari e socio-educativi pubblici o privati, sul territorio, nelle strutture diurne, residenziali e semiresidenziali in regime di dipendenza o libero professionale. Può operare all’interno di strutture come ospedali, carceri, ma anche nelle istituzioni Scuola, Province, Regioni, Comuni. Si rivolge ad una vasta utenza che varia dai minori agli anziani effettuando specifici interventi ad aree di popolazione con problemi di salute specifici (disabilità, dipendenze, psichiatria, consultori familiari, anziani, rifugiati, promozione della salute, DCA, DSA, violenza di genere, migranti, minori non accompagnati, case della comunità, medicina territoriale, reddito di cittadinanza, commissioni invalidità, etc.) o a categorie di popolazione a rischio, attraverso attività di prevenzione e di rete o di sviluppo delle life skills.
La principale attività dei futuri professionisti sarà quella di redigere, attuare, verificare e valutare progetti educativi e riabilitativi che si basano sulla relazione educativa intesa come spazio di presa in carico della persona e che sono finalizzati ad attività volte allo sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativi/relazionali per il raggiungimento/mantenimento dei più alti livelli di autonomia possibili personale e sociale dei destinatari degli interventi, collaborando all’attuazione dei progetti interprofessionali e multi professionali volti a rispondere, risolvere o attenuare situazioni di criticità, analizzando e valutando le problematiche, le risorse e i bisogni funzionali della persona di cui si prende cura, progettando e attivando interventi e servizi anche nella realizzazione di progetti di integrazione ed autonomia previsti dalla L. 104/92 e smi o di promozione della salute o di prevenzione. Nell’ambito delle proprie competenze educative riabilitative opera infine nel sistema dei servizi dell’Amministrazione penitenziaria e nelle attività legate alla prevenzione ed all’educazione ai corretti e salutari stili di vita.
Un professionista della salute quindi che può operare, come dipendente o come libero professionista, in ambito sanitario, sociale, socio sanitario e socio assistenziale. Il profilo professionale e il core competence della professione indicano come popolazione target principale dell’EP le persone con patologie o in situazioni di disagio, vulnerabilità e fragilità durante tutto l’arco della vita».
«Il Documento di posizionamento è stato redatto a seguito di una disamina approfondita delle norme che dal 2017 a fine 2021 hanno cercato di delineare il profilo dell’Educatore Professionale Socio Pedagogico. Una operazione che ha evidenziato sin da subito numerose criticità, essenzialmente perché, nella pratica professionale all’interno delle aree delle fragilità, una distinzione di ruolo tra questi e l’EP già normato dal Decreto ministeriale 520/98 non poteva esserci, avendo quest’ultimo già definiti ambiti e funzioni; inoltre in detto decreto era già prevista una formazione universitaria in collegamento tra le facoltà di Medicina e Chirurgia e le facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione. L’Educatore Professionale abilitato, in base a quanto previsto dal D.Lgs 502 del 1992 e dal DM 520 del 1998 è identificato e codificato quale professione sociale e sanitaria che progetta e attua interventi educativi e riabilitativi, nei confronti delle persone che sono in situazioni di difficoltà, vulnerabilità e fragilità; con queste lavora per il pieno sviluppo delle loro potenzialità in un’ottica di mantenimento/raggiungimento dei livelli di autonomia possibili. Egli opera nei servizi socio-sanitari e strutture socio-sanitarie-riabilitative e socio educative. Non vi era dunque un’esigenza nei servizi di individuare un professionista diverso ma quella improcrastinabile di sciogliere definitivamente il noto problema del doppio binario formativo universitario attraverso l’attivazione di un percorso universitario unico e abilitante che potesse dare l’accesso all’albo professionale. Invece di unificare la formazione a livello legislativo si è assistito ad una continua azione e produzione di norme, che producono una frammentazione della figura professionale relativa alle possibilità di esercizio; tale frammentazione è avvenuta e sta avvenendo sia in relazione alla normativa nazionale sia in relazione alla normativa regionale (in quest’ultimo caso anche prevedendo l’istituzione di ulteriori figure educative, prassi del tutto contraria a quanto previsto dalle norme nazionali, in quanto l’individuazione e la normazione di nuovi profili professionali in ambito sanitario era e rimane una prerogativa dello stato, come confermato anche da una sentenza della Corte Costituzionale in merito). È bene precisare che quello che conta non è quello che si racconta delle norme ma ciò che c’è scritto nelle norme, ovvero la lettera delle stesse.
Partiamo dall’inizio: la Legge 205/2017 pone come riferimento per l’educatore professionale socio pedagogico il decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13. Non so se è chiaro a tutti, ma questo decreto è relativo alla definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti formali, non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze. Non ha nulla a che fare con la legislazione relativa ai sistemi dei servizi sociali o sanitari del nostro Paese. Nella norma c’è scritto che nei servizi socio assistenziali, in quelli socio sanitari e in genere nel sistema salute, l’Educatore socio Pedagogico opera limitatamente agli aspetti socio educativi ed inoltre, operando secondo i dettami della L. 4/2013, gli sono precluse quelle attività svolte da coloro che sono ascritti ad un ordine professionale. Nella norma c’è scritto che all’Educatore socio pedagogico sono precluse non solo le attività riservate ma anche quelle tipiche delle figure sanitarie.
Questo è ribadito anche dall’ultimo DM del 27 ottobre 2021 pubblicato in data 4 marzo 2022 sul sito del Ministero della Salute, inerente la definizione del “ruolo e funzioni dell’educatore professionale socio pedagogico nei servizi socio assistenziali e nei servizi e presidi socio sanitari e della salute”. Il Decreto esplicita ancora una volta che le funzioni dell’educatore socio pedagogico sono espletate senza sovrapposizioni con le attività tipiche o riservate alle professioni sanitarie. Ecco che nel caso di specie gli sono precluse le attività di progettazione e attuazione degli interventi educativi oltre che riabilitativi rivolte alle persone in difficoltà svolte dall’EP del 520/98. In sintesi, nella norma vi è scritto che è preclusa all’educatore socio pedagogico ogni attività di recupero e riabilitazione dei soggetti in difficoltà e questo al di là dei settori di intervento. Del tutto prive di senso logico sono le affermazioni che si leggono nei social o in alcuni articoli di giornale secondo le quali, visto che l’Ordine professionale al quale appartiene la figura dell’EP del 520/98 è sotto l’egida del Ministero della Salute, non ci si deve iscrivere all’Albo quando si lavora in ambito sociale.
Se vogliamo fare un paragone con altri professionisti del sistema ordinistico nessuno si sognerebbe di dire che uno psicologo che opera in ambito sociale non necessiti di essere iscritto al proprio ordine, oppure, visto che l’Ordine degli Assistenti Sociali è emanazione del Ministero della Giustizia, che un Assistente sociale che lavora in ambito sanitario non si debba iscrivere. Se si esercitano determinate funzioni e la legge prevede che a tal fine prima di esercitare sia obbligatoria l’iscrizione ad un Albo e/o ordine professionale non vi sono scuse che tengano: ci si deve iscrivere al di là degli ambiti in cui si esercita. Se non si è iscritti è necessario dimostrare che tali funzioni non vengano esercitate. A nostro avviso sono contra legem anche quelle statuizioni che soprattutto a livello regionale hanno prodotto e tentano di produrre tuttora una frammentazione/sovrapposizione della nostra figura professionale in termini di possibilità di esercizio.
Di casi di sovrapposizione e quindi di potenziale abusivismo professionale se ne registrano tantissimi in tutti quei servizi in cui sono assunti educatori professionali iscritti agli Albi o agli Elenchi Speciali ad Esaurimento e, pur esercitando le medesime funzioni, educatori non iscritti a detti organismi in possesso dei titoli più disparati, non necessariamente di livello universitario e a volte neanche di livello di maturità di scuola superiore. Ancora, casi di abusivismo si registrano laddove venga richiesta la progettazione educativa finalizzata all’autonomia personale e sociale delle persone in condizioni di fragilità, ma non vengano impiegati educatori professionali iscritti all’albo o agli elenchi speciali ad esaurimento.
Come organi degli Ordini delle professioni sanitarie, in difesa della nostra professionalità da una parte e soprattutto in difesa delle persone con cui operiamo, abbiamo il dovere di contrastare situazioni di abusivismo professionale segnalando i casi nei quali questo avviene. Possiamo e siamo tenuti ad agire in quanto organi sussidiari dello Stato.
A tutt’oggi nei sistemi sanitari, socio sanitari e sociali, vi sono professionisti che non risultano iscritti ai nostri albi o elenchi speciali, pur agendo le funzioni proprie del nostro profilo; occorre agire a livello di formazione universitaria, stanti anche gli accorati appelli e denunce da parte di molti attori dei sistemi precedentemente citati, circa la difficoltà di reclutamento ex novo e/o di risposta al fisiologico turn over. Si segnala inoltre il massiccio spostamento di molti colleghi dai sistemi sanitari, socio sanitari e sociali verso quello della scuola, ove in forza degli altri titoli posseduti e in risposta alle MAD (messa a disposizione) essi hanno la possibilità di essere impiegati con contratti certi, stipendi dignitosi, orari di lavoro che permettono di conciliare i tempi lavoro/vita privata, riconoscibilità e riconoscimento della prestazione professionale, carichi di responsabilità del tutto diversi e minori, così come minori sono i costi e gli obblighi per esercitare, giuridici, economici e formativi. Vi è inoltre una parte non trascurabile di professionisti che decidono, dopo la laurea triennale, di proseguire gli studi per conseguire la laurea magistrale, magistrale non necessariamente di profilo (scienze della riabilitazione) al fine di allargare il ventaglio delle possibilità lavorative e/o di scegliere un indirizzo più in linea con le proprie aspirazioni.
Considerato che i profili professionali non possono essere definiti secondo l’autoreferenzialità dei corsi di laurea, che la formazione universitaria è e deve essere sussidiaria alle esigenze del sistema di welfare del nostro Paese, posto che nei servizi a supporto delle condizioni di fragilità non vi sia bisogno di un educatore professionale socio pedagogico e di un educatore professionale socio sanitario ma di un educatore professionale a tutto tondo già abbondantemente definito; abbandoniamo l’attuale e conflittuale tendenza alla suddivisione e ultra articolazione (molte volte cripticamente formale, ma come evidenziano le prassi lavorative, non sostanziale) che sta caratterizzando la nostra professione, evitiamo la divisione di una professione unica ma differenziata in due, tre o più qualifiche professionali e non (al momento nelle aree della fragilità ne possiamo contare, su base regionale, almeno 6 diverse); definiamo un sistema serio di compensazione formativo, (riqualificazione formazione e abilitazione) che possa permettere l’ingresso nell’albo professionale a coloro che non hanno raggiunto il punteggio pieno nell’ambito dei bandi di equivalenza, a coloro che ora sono negli elenchi speciali e che hanno un’aspettativa di vita lavorativa ancora di diversi lustri, e a coloro che sono ancora fuori dal sistema ordinistico pur essendo richiesto loro di starci visto l’esercizio professionale in totale o parziale sovrapposizione con quello descritto dal DM 520/98».
«I numeri a nostra conoscenza risentono di un ritardo nella esatta stima, ritardo dovuto all’aggiornamento della piattaforma all’interno della quale procedere alle iscrizioni e/o al mantenimento delle stesse; come in ogni sistema informatico sia esso web o locale, occorre del tempo per perfezionare le complesse funzionalità ed eliminare o correggere gli eventuali bugs. Ad ottobre 2021 vi erano 12.219 iscritti all’albo degli Educatori professionali e n. 6.900 iscritti al relativo elenco speciale ad esaurimento; soprattutto quest’ultimo dato è suscettibile di apprezzabile aumento, dato che la complessità dell’esame delle richieste e la pandemia hanno rallentato molto i processi di valutazione, processi che si concluderanno entro breve tempo. Questi numeri continuano a peccare per difetto, poiché ancora oggi in molti, per mancanza d’informazione o in possesso di informazioni errate e/o parziali, non hanno provveduto ad ottemperare agli obblighi di legge procedendo all’iscrizione presso gli Ordini: C’è chi si considera fuori da questo perimetro perchè in regime libero professionale o perchè ritiene di non essere tenuto all’iscrizione perchè non richiesto perentoriamente dal datore di lavoro; dimenticano questi colleghi quanto prescritto dalla legge 3 del 2018 art.5 comma 2: “…Per l’esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie, in qualunque forma giuridica svolto, è necessaria l’iscrizione al rispettivo albo”, nonché quanto previsto dall’art. 12: “Esercizio abusivo di una professione”.
Come già affermato in altra sede questi finalmente sono dati certi che però sono ancora lungi dal rappresentare fedelmente l’entità numerica della popolazione realmente operante sul nostro ruolo professionale priva dei requisiti per i motivi sopra addotti. In relazione alle nuove assunzioni, se si fa riferimento al DM 71 è evidente che al fine di dare attuazione a quanto previsto, è necessario procedere ad un’importante campagna di reclutamento; non è pensabile un aumento dei servizi e delle prestazioni a costo zero e ad organici invariati, in particolare se si tiene conto dell’elevata età media della popolazione dei professionisti sanitari. La massiccia uscita dal mondo del lavoro e dai servizi dei prossimi anni o l’esodo verso altri ambiti di lavoro, unita agli imbuti formativi e abilitativi dei quali tanto si è discusso negli ultimi due anni, pone e porrà un serio problema di reperimento delle risorse umane, reperimento quanto mai necessario».
«Mi aspettavo questa domanda, visti anche tutti gli articoli e i comunicati che a partire dalla seconda metà dell’anno 2021 fino alla prima metà del 2022 sono stati pubblicati: fuga dagli appalti di numerose realtà che storicamente si occupano di servizi per i minori e l’handicap ma non solo, per insostenibilità dei rapporti economici (costi di produzione dei servizi – importi degli appalti previsti); evidente carenza di professionisti disponibili sul mercato anche per i motivi precedentemente addotti; condizioni contrattuali, specie nei contratti privati che ricordo essere oltre una quarantina, al limite del vessatorio e che di fatto impediscono ai colleghi di predisporre un personale progetto di vita, progetto di vita che, paradossalmente, in molti servizi viene elaborato insieme agli assistiti per quanto loro concerne. Nel progetto di vita, ironia della sorte, parte essenziale è quella relativa alle autonomie possibili, le quali sono sollecitate anche in funzione delle condizioni socio-economiche personali. In ogni caso i rapporti delle università indicano un tasso di occupazione ad un anno dalla laurea pari ad un intervallo tra 75-85%, uno tra i più alti all’interno del panorama delle professioni e dei corsi di laurea; a questa percentuale andrebbe aggiunta anche una quota relativa a coloro che decidono di proseguire il percorso di studi, decidendo quindi di non ingaggiarsi subito in ambito lavorativo. Tornando a quanto concerne la carenza di professionisti abilitati sul mercato del lavoro, vi sono almeno altre tre cause che hanno determinato questa situazione:
Su questo punto l’istituzione degli Ordini ha sicuramente segnato un doveroso punto fermo nella direzione della tutela della salute del cittadino, il quale ha diritto di avvalersi di professionisti adeguatamente formati e abilitati in relazione ai bisogni di salute dei quali è portatore. Vero è che tuttavia, in quest’ultimo anno abbiamo rilevato un riorientamento da parte degli attori istituzionali in riferimento all’aumento dei posti disponibili in ingresso nei corsi di laurea in educatore professionale autorizzati dal Ministero della Salute, uno sblocco dei concorsi da parte delle aziende sanitarie, socio sanitarie e sociali, nonché dei nuovi reclutamenti nel privato sociale accreditato al fine di essere in regola con gli accreditamenti regionali. In molti enti e servizi si sta cercando di assumere educatori professionali e tale fenomeno impatta direttamente sulle carenze di cui ai punti 1,2 e 3».
«È importante premettere che il lavoro della Commissione d’Albo Nazionale (CdAn) non prescinde dal lavoro che è portato avanti da parte delle Commissioni di Albo territoriali (CdA) e dagli ordini TSRM-PSTRP dei quali sono organi; la CdAn non è gerarchicamente sovraordinata a queste, bensì opera in raccordo con le CdA con funzioni di coordinamento e con le finalità di evidenziare e far divenire patrimonio comune le buone prassi professionali e ordinistiche, affrontare e tentare di risolvere gli elementi di criticità ovunque essi si manifestino, operare affinchè vi sia chiarezza sull’esercizio professionale, sviluppare l’ambito culturale e scientifico anche in collaborazione con le Associazioni Tecnico Scientifiche di riferimento per la professione. La CdAN si propone quindi di fare sintesi e operare sulle tematiche che, in raccordo con le CdA, vengono individuate come strategiche per la professione. In breve, raccordare il micro ed il macro dato che i territori regionali ed il territorio nazionale sono oggetti e soggetti di reciproche influenze in relazione ai servizi sanitari, socio sanitari e sociali. In parallelo, analogo criterio di funzionamento è adottato a livello nazionale all’interno della Federazione degli ordini TSRM-PSTRP della quale le CdAn delle 19 professioni sanitarie fanno parte.
Al momento i temi sui quali si sta operando sono diversi. In primis mantenere chiarezza sull’accesso alla professione: in questa direzione si è operato per la redazione del documento di posizionamento e per la sua capillare diffusione al fine di contrastare erronee letture dei provvedimenti normativi o regolamentari che ingenerano confusione sull’accesso alla professione e sui requisiti per esercitarla; affrontare la carenza di posti messi a disposizione dalle Università nei corsi di laurea per Educatore Professionale L/SNT2 sia attraverso una ricognizione territoriale e nazionale dei fabbisogni, sia analizzando i flussi in entrata ed in uscita dei professionisti, sia parametrando il fabbisogno in relazione ai LEA ed ai LEAPS ed il necessario rapporto servizi-professionisti-popolazione generale; tale attività ha dimostrato come il fabbisogno fosse sottostimato, tant’è che il Ministero della Salute ha avvalorato il fabbisogno stimato dalla professione, aumentandone i posti disponibili nei corsi delle università nelle quali essi erano già attivi e preventivandone la possibile apertura in nuovi contesti territoriali; operare affinché il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), attivi presso le università che offrono la disponibilità a farlo, i corsi compensativi per coloro che, a seguito della domanda di equivalenza (legge 42/99 art. 4 co. 2), sono tenuti al superamento di una misura compensativa per ottenere il decreto di equivalenza; affrontare e tentare di sciogliere i nodi riguardanti gli iscritti agli Elenchi Speciali a Esaurimento, molti dei quali non sono affatto alle soglie della pensione come i redattori della norma che li ha istituiti presupponevano; operare affinché nell’ambito delle progettualità legate alla attuazione del PNNR sia considerato nella giusta dimensione l’apporto dell’educatore professionale; dare seguito a quanto previsto dal Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali 2021-2023 predisposto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nell’agosto 2021, in relazione alla supervisione professionale, pagg. 54,55,56 – supervisione del personale dei servizi sociali territoriali».
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