Rossi, presidente OMCeO Milano: “Paghiamo il clima di chiusura testimoniato dall’esito del referendum”
La Svizzera si chiude a riccio verso l’immigrazione lavorativa. I cittadini elvetici hanno espresso la loro opinione sulla questione attraverso un referendum passato con una maggioranza molto risicata: il 50,3 per cento. Da oggi i professionisti provenienti dall’estero (compresa l’Unione Europea) avranno più difficoltà a lavorare in territorio svizzero.
Il referendum era stato promosso dall’Unione Democratica di Centro e aveva come fine quello di contrastare il fenomeno del “dumping salariale”, ovvero quella corsa al ribasso nelle retribuzioni che avviene quando c’è troppa concorrenza tra lavoratori disposti a guadagnare poco pur di lavorare. I cittadini svizzeri hanno dunque accettato la modifica alla Costituzione federale per introdurre “tetti massimi annuali” relativi ai lavoratori provenienti dall’estero da far entrare in territorio svizzero.
Come se non bastasse, recentemente l’Ufficio Sanità ticinese ha stabilito che i GPS (Good Professional Standings), ovvero i documenti del Ministero della Salute che dovrebbero certificare la qualità dei camici bianchi che fanno richiesta per lavorare in territorio svizzero, non sono più sufficienti. Il motivo? Il governo italiano ha modificato i moduli autocertificativi e le informazioni in questo modo fornite non bastano a convincere le autorità svizzere a rilasciare le autorizzazioni ai medici. Tra chi è stato rispedito a casa e chi, invece, troverà le porte chiuse, sono 150 i professionisti sanitari italiani che non potranno lavorare in Svizzera.
Sulla questione è intervenuto con forza il presidente dell’Ordine dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri di Milano, Roberto Carlo Rossi, il quale afferma che “se da un lato non mi sento di criticare la scelta effettuata dalle autorità svizzere, dall’altro penso che questo atteggiamento sia da ricollegare alla volontà di chiudere le frontiere ai professionisti provenienti dai Paesi esteri”. Questi lavoratori risentirebbero dunque di un clima di ostilità che, sempre secondo Rossi, non pare comunque aver intaccato “l’ambiente lavorativo dei colleghi che hanno esercitato in territorio elvetico”, del quale ha invece “sempre sentito parlare in termini entusiastici”. Rossi ritiene dunque che la decisione di bloccare le autorizzazioni per i medici italiani nasca essenzialmente da questo tipo di sentimento popolare e che l’Ufficio Sanità non abbia fatto altro che trovare un modo “burocratico” per applicarlo. Rossi e l’OMCeO che presiede hanno subito fatto pressione nei confronti dell’Ufficio affinché la questione si risolva in maniera rapida e senza danni per i professionisti italiani.