Lavoro e Professioni 23 Marzo 2020 14:40

«Proviamo rabbia, stanchezza, delusione e paura». Lettere di tre infermiere ai tempi del Coronavirus

«Covid-19 è l’ennesimo squalo di turno a cui dare in pasto gli infermieri come carne da macello. Non saranno le ore interminabili di lavoro o l’impossibilità di bere o di andare in bagno durante il turno ad ucciderci, ma la superficialità delle Istituzioni»

«Proviamo rabbia, stanchezza, delusione e paura». Lettere di tre infermiere ai tempi del Coronavirus

Sono lettere dal fronte, quelle che scrivono alcune infermiere, iscritte al sindacato Nursing Up, che chiedono di rimanere anonime perché sempre più direzioni sanitarie vietano ai propri dipendenti di parlare con la stampa. C’è chi, come R. F., dice di essere «esausta fisicamente, emotivamente e mentalmente», perché «è davvero difficile avere a che fare con pazienti che ti chiedono aiuto e hanno paura di morire. E quando purtroppo qualcuno muore è straziante, ti senti impotente».

Poi c’è R.V., che da 15 giorni è a casa per una polmonite e combatte tra due sentimenti contrastanti: «La tutela della mia salute ed il dispiacere di non poter essere insieme ai miei colleghi». È costretta a passare il tempo guardando la televisione, e cova dentro una rabbia che la porta a scrivere che «Covid-19 è l’ennesimo squalo di turno a cui dare in pasto gli infermieri come carne da macello. Finita l’emergenza, la nostra professione dovrà essere riqualificata e ottenere un corretto riposizionamento economico-sociale».

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Le fa eco A. R., infermiera da oltre 20 anni «arrabbiata e delusa». «Noi lavoratori non siamo tutelati – continua –, i casi di Covid tra i pazienti aumentano vertiginosamente e qualche giorno fa è risultato positivo anche un nostro collega. Nessuno di noi è dotato di mascherine Ffp2 o Ffp3, ma solo di mascherine chirurgiche, perché non lavoriamo in un reparto Covid e quindi secondo la Regione, il Governo e l’Istituto superiore di sanità non siamo a rischio. Peccato che il virus non conosce confini, e che tutti noi siamo altamente esposti al contagio. Abbiamo urgentemente bisogno di dispositivi adeguati per salvare il salvabile. E devono fare il tampone agli operatori sanitari per tutelare i pazienti, le nostre famiglie e noi stessi. Non siamo eroi, siamo persone semplici abituate ad aiutare il prossimo. E non saranno le ore interminabili di lavoro o il fatto di non poter bere né andare in bagno per molte ore ad ucciderci, ma la superficialità delle Istituzioni».

«Stiamo combattendo una guerra con poche armi – aggiunge R. F. – e quando torniamo a casa ci sentiamo sconfitti. In questi giorni ho capito che per essere infermieri bisogna avere coraggio, e che usciremo da questa esperienza ancora più forti. Ora però vado a riposare, perché sono molto stanca. Buona fortuna a tutti. Ne abbiamo davvero bisogno».

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