«La persona con malattia mentale non è solo una portatrice di sintomi, ma anche di emozioni e desideri. La sua patologia non azzera la capacità di scelta, né la possibilità di crescere e di sperare». Per Paola Carozza, direttore del dipartimento di Salute Mentale di Ferrara, sono questi i quattro principi fondamentali da rispettare per umanizzare le cure in psichiatria
«Esplorare la vita del paziente, prima ancora di esaminare i suoi sintomi». È questo per Paola Carozza, direttore del dipartimento di Salute Mentale di Ferrara, il dovere di ogni medico, in particolare di coloro che si occupano di salute mentale.
«Gli psichiatri – ha continuato la dottoressa – tendono a formulare solo domande relative ai sintomi, concentrando la loro attenzione esclusivamente sulla malattia. Un’abitudine sbagliata che azzera il rapporto umano medico-paziente. Le cure hanno bisogno di “umanizzazione”».
Un’esigenza evidenziata già trent’anni fa dagli stessi pazienti: «I precursori dell’umanizzazione delle cure in psichiatria – ha infatti spiegato Paola Carozza – sono stati gli ex utenti sopravvissuti ai servizi di salute mentale degli Stati Uniti e alcuni componenti del movimento “Alcolisti Anonimi”. Hanno promosso degli importanti principi supportati, poi, dagli psicologi statunitensi Lerry Davidson, Maria Farcas e Robert Liberman. Grazie al loro contributo, già nel 1991, furono stabiliti quattro importanti orientamenti per promuovere l’umanizzazione delle cure in psichiatria».
La prima parola d’ordine è “persona”: «Chi soffre di una malattia mentale – ha detto Carozza – non è solo un portatore di sintomi, ma anche una “persona” che prova emozioni, desideri, aspettative, al pari di qualsiasi altro essere umano. La patologia non azzera la componente psicologica e sociale del soggetto. Il paziente non è la sua malattia, i sintomi sono solo una parte del suo modo di essere».
Il secondo principio è racchiuso nel concetto di “scelta”: «La malattia mentale – ha spiegato la psichiatra – non azzera la capacità di scelta. Non si tratta, dunque, di soggetti passivi, ma di persone che possono autodeterminarsi, in grado di decidere come orientare le proprie scelte, cosa scegliere e come comportarsi».
La terza nozione necessaria all’umanizzazione delle cure è la “crescita”: «La malattia mentale non impedisce l’apprendimento di nuove abilità – ha aggiunto Paola Carozza -, non condanna il paziente all’isolamento».
Il quarto orientamento è l’ “infuturazione”: «Dobbiamo sempre trasmettere ai nostri utenti degli obiettivi di vita, dei progetti per il futuro, che li avvicinino alla normalità. Instillare speranza – ha sottolineato la specialista – è fondamentale per qualsiasi patologia, ma in psichiatria appare più rilevante perché le persone che hanno una malattia mentale si sentono, generalmente, senza futuro».
«Per rispettare questi quattro concetti fondamentali – ha spiegato Paola Carozza – è necessario che il professionista cominci con il modificare e migliorare la relazione con il proprio assistito, formulando alcuni interrogativi relativi alla sfera privata». Ecco alcuni esempi: «Come ti senti, come vanno i rapporti familiari, sei soddisfatto della tua vita personale, vorresti avere più amici o una fidanzata, desideri realizzarti nel lavoro? Chi non esplora questi campi della vita – ha sottolineato la direttrice del dipartimento di Salute Mentale di Ferrara – commette un errore di disumanizzazione».
E a fare questo sbaglio, in Italia, pare non siano in pochi: «L’organizzazione dei servizi italiani è all’avanguardia – ha detto Carozza – ma c’è un appiattimento, se non addirittura una regressione dei rapporti umani tra medici e pazienti. Una situazione peggiorata negli ultimi venti anni per due principali motivi: aumento del carico burocratico e un maggior controllo della magistratura sui nostri comportamenti sanitari».
Ma migliorare la situazione attuale è possibile: «Bisogna investire sulla formazione – ha suggerito Carozza – offrendo degli aggiornamenti continui sul luogo di lavoro. Il personale non può essere abbandonato a se stesso: va supportato affinché apprenda come spostare il focus della cura dalla malattia alla persona, dai sintomi a tutti gli altri aspetti che caratterizzano la vita dell’individuo. Particolarità dell’essere umano che, spesso, si pensa siano state cancellate dalla malattia mentale. Ma chi ne è convinto – ha concluso la psichiatra – commette un grosso errore: disumanizza le cure».
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