Quali conseguenze derivano, sotto il profilo risarcitorio, dalla condotta inadempiente del medico, che non abbia illustrato al paziente i rischi connessi al trattamento terapeutico, così da ottenere il necessario consenso alla sua esecuzione?
Quali conseguenze derivano, sotto il profilo risarcitorio, dalla condotta inadempiente del medico, che non abbia illustrato al paziente i rischi connessi al trattamento terapeutico, così da ottenere il necessario consenso alla sua esecuzione?
Per la legge 219 del 2017 e la giurisprudenza la manifestazione del consenso alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto all’autodeterminazione del paziente che, liberamente e consapevolmente, sceglie di sottoporsi a trattamenti farmacologici, diagnostici o terapeutici anche invasivi.
Ne consegue il dovere del medico di informare dettagliatamente il paziente (a prescindere dalla riconducibilità di tale attività informativa a un obbligo contrattuale o ex lege), sì da renderlo edotto della natura, portata ed estensione del trattamento terapeutico, dei suoi rischi, dei benefici conseguibili e dei possibili effetti indesiderati ivi comprese le complicanze peggiorative dell’attuale stato di salute (Cass. civ. sez. III, 13 ottobre 2017, n. 24074).
In materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se, nel primo caso, l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia “ex se” una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo, invece, l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – gravante sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. Ciò non esclude comunque che, anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione, sia indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in “re ipsa”.
Se dall’omessa acquisizione di consenso deriva un pregiudizio alla salute (allegato e provato dal danneggiato), per accertare la causa immediata e diretta di tale danno occorre, allora, indagare sulla scelta che avrebbe compiuto il paziente se informato dei rischi prevedibili derivanti dall’atto medico (scelta da ricostruire ora per allora mediante giudizio controfattuale):
– in caso di consenso all’intervento, l’omessa informazione è priva di conseguenze dannose, e quindi non può né concorrere né costituire mero presupposto del danno alla salute, imputabile solo all’inesatta esecuzione del trattamento medico. Pertanto, in mancanza di allegazione prova – da parte del danneggiato – di altre specifiche tipologie di danni-conseguenza, all’omessa informazione non consegue alcun (ulteriore) obbligo risarcitorio, poiché il trattamento sanitario sarebbe stato comunque eseguito (Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2017, n. 24074; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2018, n. 19199).
– in caso di dissenso, l’atto medico si palesa come lesione personale arrecata «contra nolentem» e il danno alla salute costituisce danno-conseguenza riferibile «ab origine» alla violazione del diritto di scelta del paziente (in tal caso, infatti, il trattamento sanitario non sarebbe stato eseguito e l’esito infausto non si sarebbe verificato).
– In caso di consenso ma a condizioni diverse (ad esempio, effettuazione posticipata dell’operazione), il paziente deve allegare e dimostrare gli «ulteriori» pregiudizi (rispetto al danno alla salute) sofferti per non essere stato posto in grado di effettuare tale opzione, fermo restando che i pregiudizi di natura non patrimoniale, per essere risarcibili, devono varcare la soglia di serietà/gravità (Cass. civ. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 e n. 26975), nonché la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale (Cass. civ. sez. III, 23 marzo 2018 n. 7248; Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2018, n. 17022; Cass. civ., sez. III, 22 agosto 2018, n. 20885).
L’allegazione dei fatti dimostrativi dell’opzione «a monte» che il paziente avrebbe esercitato costituisce elemento integrante dell’onere della prova del nesso causale tra inadempimento ed evento dannoso, gravante – secondo l’ordinario criterio di cui all’art. 2697, comma 1 c.c. sul danneggiato (Cass. civ. sez. III, 19 luglio 2018, n. 19199).
Ricapitolando possiamo così schematizzare le conseguenze alle quali il sanitario potrebbe andare incontro:
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