Lavoro e Professioni 21 Gennaio 2020 16:58

Radiologia senologica, Pacifici (Aiters): «Ecco perché serve un tecnico dedicato con formazione certificata»

Il Presidente dell’Associazione italiana dei tecnici di radiologia senologica spiega il ruolo di questo particolare professionista. Non mancano i problemi, come i carichi di lavoro eccessivi: «L’adesione agli screening non è uguale in tutta Italia ma i criteri sono identici: così alcuni operatori si ritrovano centinaia di pazienti, altri pochi. Serve una revisione delle liste»

C’è una particolare categoria di Tecnici della sanità che si occupa solo di donne. Parliamo dei Tecnici sanitari di radiologia senologica, quei professionisti che fanno parte della grande famiglia dei TSRM ma che, nello specificico, eseguono lastre e radiografie per valutare la salute del seno. Stefano Pacifici è il presidente dell’Aiters, l’associazione di categoria che ne raccoglie stimoli, bisogni e rivendicazioni. Sul loro sito, subito dopo il logo, campeggia infatti la scritta “insieme per le donne” proprio a testimoniare l’impegno di questa particolare categoria di lavoratori per la salute delle donne, avendo un ruolo essenziale, ad esempio, negli screening.

L’Aiters è così una ‘piazza’ reale dove i tecnici possono scambiarsi esperienze lavorative e informazioni di ordine professionale, condividere proposte formative mirate alle necessità di conoscenza operativa e tecnologica e promuovere iniziative di aggiornamento e formazione continua. Ed è proprio sulla formazione che si gioca una battaglia importante.

«Il ruolo di AIters – spiega Pacifici – è quello di riunire tutti quei tecnici di radiologia che si occupano prevalentemente di senologia perché nella nostra visione il tecnico di senologia deve essere un tecnico dedicato, quindi con una formazione specifica, possibilmente con una certificazione. Questo è un percorso che stiamo cercando di seguire. È importante allinearci a quelli che sono gli standard europei che vogliono il tecnico di senologia certificato».

Col tempo l’Aiters ha anche assunto una veste ‘sindacale’ per denunciare e trovare soluzioni alle problematiche di categoria: «Uno dei tanti aspetti è per esempio il volume di lavoro che deve affrontare il tecnico di senologia che, in particolar modo nello screening, è abbastanza impegnativo – spiega Pacifici -. Non è normato perché ci sono ancora delle linee guida europee di ormai tanti anni fa che non sono state ancora revisionate, quindi in maniera un po’ arbitraria c’è chi raddoppia il numero degli esami negli stessi tempi raddoppiando di fatto il carico di lavoro agli operatori e questo diventa anche un problema di qualità finale della prestazione lavorativa».

Inevitabile l’appello alla politica, soprattutto quella regionale, sia per le necessità formative ma anche sul fronte dei carichi di lavoro: «Chiediamo alle istituzioni di istituire dei percorsi formativi certificanti, cioè che rilascino un certificato di idoneità, di specializzazione al tecnico che già opera nello screening. Ci siamo già mossi per far istituire dei percorsi post laurea specialistici, quindi dei master in senologia per tecnici che formeranno le nuove leve e non avranno bisogno della certificazione perché ci sarà quella universitaria come garanzia. Però quello che chiediamo è di andare a valutare chi da anni lavora nello screening per riconoscere chi è cresciuto professionalmente e può essere certificato senza attraversare appunto questi percorsi formativi. In questo ci dovrebbero aiutare in qualche modo le regioni».

Pacifici sottolinea come poi gli screening di prevenzione non sempre vengano organizzate nel migliore dei modi, con inevitabili disagi per la categoria variabili da regione a regione: «Chiediamo che a livello territoriale l’organizzazione delle liste delle pazienti invitate allo screening vengano fatte con un giusto criterio perché non possiamo standardizzare l’invito alla mammografia di screening a livello nazionale. A livello regionale ci sono delle realtà completamente diverse con regioni dove l’adesione è altissima e regioni dove invece la percentuale è bassa. Di conseguenza è inevitabile che se viene utilizzato un metro standard per tutte le regioni si troveranno operatori nella regione “x” che si troveranno il doppio di pazienti mentre gli altri avranno liste deserte. Questo sicuramente non aiuta ad avere dei dati omogenei su quello che è l’efficacia del programma di screening a livello nazionale». 

 

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