Le misure allo studio per tutelare chi ci andrà, chi ci è già andato e chi non vuole andarci. Dall’anticipo pensionistico Ape all’allargamento del riconoscimento di lavoro usurante, dalla previdenza complementare al cumulo contributivo
Pochi medici scelgono la pensione
I medici non vogliono – e spesso non possono – andare in pensione. Lo rivelano i dati pubblicati in occasione dell’approvazione del bilancio 2016 dall’ENPAM, la cassa di previdenza per i camici bianchi: nel corso dello scorso anno, infatti, solamente il 9% dei medici di famiglia che aveva la possibilità di richiedere il pensionamento ne ha effettivamente fatto richiesta. La percentuale sale un pò, ma non di molto, per la categoria degli specialisti ambulatoriali, raggiungendo il 18%. Evidente quindi il desiderio di rimandare fino ai 70 anni il ritiro dalla professione, come conferma uno studio di Anaao Assomed, secondo il quale sono 354mila, complessivamente, i medici che scelgono di rimanere attivi per più tempo possibile. Tenendo conto questi dati non stupisce quindi che l’età media del personale sanitario sia particolarmente elevata e che superi i 55 anni di età.
Pensione anticipata, chi può chiederla
Ma chi può scegliere di andare in pensione anticipata? Si può smettere di lavorare prima della vecchiaia se si hanno 30 anni di anzianità dalla laurea e 35 anni di contributi, dopo aver raggiunto l’età minima, fissata a 61 anni e 6 mesi per il 2017 e a 62 anni dal 2018 in poi.
Lavoro usurante, a quali lavoratori si applica
A coloro che preferiscono continuare a lavorare si affiancano anche medici (che lavorano soprattutto nell’ambito dell’emergenza-urgenza), i quali, raggiunta una certa età, ritengono di non avere più la forza e lo spirito per resistere allo stress, alle guardie notturne, alla complicata vita d’ospedale, e che vorrebbero quindi che la loro categoria rientrasse nell’elenco dei lavori usuranti o gravosi: è quanto era stato richiesto ad esempio da Maria Pia Ruggieri, Presidente della SIMEU (Società italiana Medicina emergenza-urgenza) ai microfoni di Sanità Informazione. Professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni rientrano invece già nella categoria, e possono quindi andare in pensione prima. Il pensionamento anticipato per lavoro usurante può essere invece richiesto da un medico solo se si ha già versato contributi per almeno 35 anni, se si svolgono turni da almeno 10 anni durante i quali si è lavorato nel turno di notte per almeno 64 notti all’anno per sette anni, compreso l’ultimo.
40mila medici in pensione nei prossimi anni
Un personale sanitario con i capelli bianchi, dunque, che vorrebbe essere rassicurato sul riconoscimento di un adeguato trattamento economico che permetta loro la salvaguardia del potere d’acquisto (al pari di chi è già in pensione) e che, volente o nolente, lascerà in massa il Ssn: sono 40mila infatti le uscite previste nei prossimi anni. Fatto, questo, che renderà di fondamentale importanza sia il ricambio generazionale che la difesa dei diritti maturati dai medici in sede previdenziale. In aggiunta a ciò, vanno tutelate anche particolari specializzazioni (soprattutto chi opera nel settore di emergenza-urgenza, donne in primis) con lo scopo di permettergli di usufruire delle migliori condizioni dell’anticipo pensionistico, incentivando allo stesso tempo i medici ad usufruire della maggiore flessibilità su questo tema proposto negli ultimi mesi. Tali iniziative sono state tra l’altro anche particolarmente applaudite dagli enti di rappresentanza del personale sanitario, in primis Anaao Assomed e Cosmed.
Cumulo gratuito, ovvero come raggiungere prima i contributi necessari per andare in pensione
Tra le novità preferite, l’introduzione del cumulo gratuito che permette di accorpare i contributi versati durante la scuola di specializzazione con quelli versati successivamente all’ENPAM esercitando la professione, che permette quindi di raggiungere prima il numero degli anni di contributi necessari per andare in pensione e su cui Sanità Informazione ha già pubblicato un dettagliato approfondimento intervistando Giorgio Cavallero, Segretario Generale COSMED. Questo provvedimento in molti casi dovrebbe non solo consentire di anticipare il pensionamento e, in altri casi, di raggiungere 18 anni di servizio alla fine del 1995, spostando quindi il sistema retributivo dalla fine del 1995 alla fine del 2011, convertendo 16 anni di contributivo nel sistema retributivo.
Previdenza complementare
A ciò si aggiungono, oltre alla possibilità di riscattare gli anni della laurea, gli incentivi per la previdenza complementare, anche grazie al Fondo Perseo-Sirio , dedicato ai dipendenti pubblici e della sanità e volto a garantire un contributo pensionistico che permetta il mantenimento di un adeguato stile di vita anche dopo aver smesso di lavorare. Con un contributo pari all’1% della retribuzione per il TFR si potrà infatti evitare di percepire una pensione pari al 40-50% dell’ultimo stipendio. Nonostante anche un Fondo sanità creato appositamente per le professioni sanitarie al quale accedere senza concedere una liquidazione, il sistema della previdenza complementare è scelto ancora da pochi medici.
Ape sociale
Infine, l’anticipo pensionistico, da distinguere tra Ape sociale e Ape volontaria. Sull’Ape sociale, ovvero l’opportunità di anticipare la pensione rivolta ai lavoratori che si trovano in situazioni lavorative ed economiche particolarmente svantaggiate e che proprio in questi giorni i sindacati richiedono di ampliare, tra gli altri anche ai lavoratori che hanno svolto mansioni gravose, si è recentemente espresso il Consiglio di Stato che, tenendo conto del ritardo con cui il decreto è stato firmato dal Premier Paolo Gentiloni, ha proposto lo slittamento almeno al 31 luglio della scadenza per presentare la domanda, precedentemente prevista per il 30 giugno. E’ subito partita quindi la campagna della CGIL “Prendi l’Ape sociale… prima che voli” suggerendo a coloro che sono intenzionati ad approfittare dell’agevolazione a non perdere troppo tempo e di cogliere questa opportunità il più presto possibile. Il vantaggio della misura viene identificato, in particolare, nel fatto che non comporta alcun onere ai lavoratori. Sorge tuttavia il dubbio che il trattamento di fine rapporto (TFR) venga comunque percepito a 66 anni e 7 mesi, poiché il decreto prevede che «per i dipendenti pubblici che cessano l’attività e richiedono l’Ape sociale i termini di pagamento delle prestazioni di fine servizio iniziano dal compimento dell’età per la pensione di vecchiaia e in base alle norme vigenti che regolano la corresponsione del trattamento di fine servizio».
Ape volontaria
E’ possibile che lo stesso rischio venga corso anche per quanto riguarda l’Ape volontaria pensata per chi, lo ricordiamo, vorrebbe anticipare l’uscita dal lavoro di 3 anni e 7 mesi (a 63 anni compiuti invece che a 66 anni e 7 mesi) chiedendo alla banca convenzionata con l’Inps un prestito per colmare la differenza tra l’assegno maturato oggi e quello che si prenderebbe rispettando i requisiti standard. Il decreto tarda però ad arrivare, lasciando quindi nell’attesa coloro che vorrebbero aderire all’iniziativa. Le ultime indiscrezioni indicano che non sarebbe tra l’altro necessario cessare ogni attività lavorativa anche dopo aver percepito l’anticipo e che il costo dell’Ape non dovrebbe superare il 15% del finanziamento.
Ape 41
Coloro che possono accedere all’Ape sociale sono inoltre tutelati da una terza possibilità, l’Ape 41, che permette ai medici di andare in pensione prima dei 63 anni, deve avere versato 41 anni di contributi di cui uno versato prima di aver raggiunto la maggiore età.
Con “Opzione Donna” la professionista va in pensione prima, ma le critiche non mancano
Dedicato infine anche alle dottoresse l’ “Opzione Donna”, che consente alle donne che entro il 31 dicembre 2015 hanno compiuto 57 anni d’età, o 58 anni se lavoratrici autonome, che hanno versato almeno 35 anni di contributi, di andare in pensione prima del tempo. Le organizzazioni di rappresentanza della categoria hanno tuttavia sottolineato la permanenza di un certo grado di delusione per questa possibilità, perché limitata ad un numero di domande compatibili con un budget già predisposto e a causa delle pesanti penalizzazioni a cui le donne sarebbero sottoposte, soprattutto per le pensioni più alte: si calcola infatti una perdita che gira intorno al 30%.
Rivalutare le pensioni in essere
I sindacati sottolineano come la rivalutazione della pensione sia fondamentale per il mantenimento del potere d’acquisto e suggeriscono quindi la necessità di aggiornare annualmente gli assegni pensionistici. Inoltre, le pensioni italiane subiscono una tassazione doppia rispetto alla media europea; sarebbe quindi necessaria una politica fiscale a sostegno dei pensionati, equiparandola con quella dei lavoratori dipendenti.
Per tirare le somme bisognerà tuttavia aspettare i decreti attuativi e la percentuale d’adesione tra medici e professionisti sanitari.