Negli scenari drammatici di questa pandemia la medicina narrativa può aiutare ad evitare la ‘fusione emozionale’ in cui «ci si proietta nelle condizioni del paziente e si rischia di provare lo stesso dolore»
Ai tempi del Covid-19 occuparsi del tema della relazione medico-paziente può sembrare superfluo, data la portata della crisi sanitaria. Eppure le cronache di questa pandemia ci hanno raccontato spesso di pazienti che arrivano in ospedale già molto gravi, spesso intubati e costretti a terminare la loro vita in isolamento e senza vedere gli affetti. Di fronte a questo tsunami l’operatore sanitario si è spesso trovato impreparato a gestire un simile carico emotivo. «Il guaritore è ferito» ha efficacemente sottolineato il sociologo Paolo Trenta dell’Osservatorio della Medicina Narrativa Italiana in un articolo sull’Italian Journal of Prevention, Diagnostic and Therapeutic Medicine, organo ufficiale della Simedet, Società italiana di medicina diagnostica e terapeutica.
«Si incontra il limite, la finitezza, la mortalità dell’altro – scrive Trenta – e si incontra il proprio limite e la propria mortalità. Si incrocia la fragilità e la vulnerabilità della persona malata che si ha di fronte e si fa i conti con la propria inevitabile fragilità e vulnerabilità che si era accuratamente occultata in una concezione di quasi onnipotenza».
«Condizioni – continua Trenta – che i curanti possono incontrare nel corso della propria attività, ma mai con questa intensità, con un irrompere precipitoso ed incontrollabile, mai ci si era sentiti così esposti, così guaritori e feriti allo stesso tempo. Il guaritore è ferito anche perché impotente, perché non ha tutte le risorse necessarie disponibili a garantire una buona cura a sé e agli altri, ma soprattutto perché incontra il limite ed i limiti». Il rischio è quello della «fusione emotiva», di un «contagio emozionale» in cui ci si proietta nelle condizioni del paziente e si rischia di provare lo stesso dolore.
Ecco allora che in soccorso degli operatori sanitari può giungere la medicina narrativa. «Le competenze di medicina narrativa – spiega Trenta a Sanità Informazione – secondo noi sarebbero state utilissime. Invece di incensarli come eroi in maniera un po’ retorica potremmo invece capire quali sono realmente i bisogni di formazione e accanto agli aspetti tecnici aggiungere anche quelli relazionali».
«Chiamarli eroi è una mistificazione – continua Trenta -. Sono eroi quando si sacrificano, invece devono solo fare il loro dovere. Devono poter essere messi in condizione di poter fare il loro lavoro nel miglior modo possibile. L’eroe tragico è quello che si sacrifica. Ma noi non siamo in guerra».
La medicina narrativa esalta proprio quelle capacità relazionali che in un contesto del genere sarebbero preziose: competenza, capacità di instaurare un dialogo, saper cogliere anche la comunicazione non verbale, la comunicazione residua, minimale in quelle situazioni, avere competenze ermeneutiche nell’interpretazione, nel dialogo e di capire quali sono i reali bisogni e capacità di esprimere le scelte che potrebbero essere fatte. «Anche saper comunicare la diagnosi è una di quelle competenze che la medicina narrativa aiuta ad apprendere, a costruire» chiarisce Trenta.
Può sembrare un lusso in tempo di pandemia, invece non è così. «La medicina narrativa aiuta a rispondere ai bisogni consoni alla professionalità del medico – chiarisce Trenta -. Secondo noi che ci occupiamo di medicina narrativa sono bisogni a cui un professionista della salute deve saper rispondere. Bisogni di dialogo, comprensione, saper esprimere i propri desideri in quelle situazioni in cui l’operatore sanitario è l’unica interfaccia con il mondo del paziente».
Si tratta, purtroppo, di momenti difficili, situazioni in cui i sanitari sono chiamati a scelte tragiche che dove possibile dovrebbero essere condivise e costruite con il paziente. «Questi malati non hanno più i familiari con cui dialogare – conclude il sociologo -. Pochissime altre figure professionali, oltre ai medici, possono entrare in contatto con loro. Un contatto che è anche molto mediato dagli strumenti di protezione. A questo contatto i medici non sono preparati, non lo è la professione medica e sanitaria. La medicina narrativa è quella competenza che permetterebbe di attivare una comunicazione efficace, utile ad entrambi. Al paziente, alla persona malata per poter esprimere in forma di dialogo i suoi bisogni e le sue aspettative, ciò che vorrebbe fare e ciò che desidererebbe avere e in alcuni casi purtroppo anche come vorrebbero terminare. La medicina narrativa e le cure palliative sono le altre vittime di questa epidemia. Sono venute meno».
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