Il Segretario del sindacato spiega a Sanità Informazione i motivi alla base del ricorso alla Commissione europea: «Rischi enormi per la salute dei pazienti e per il professionista. Speriamo in pronuncia della Corte di Giustizia europea che faccia giurisprudenza»
«Il fatto che i professionisti sanitari che operano in Italia non possano godere del riposo giornaliero di 11 ore consecutive anche in caso di reperibilità attiva comporta un doppio rischio: il primo è relativo alla sicurezza delle cure, perché chi vorrebbe essere operato da un medico che la notte precedente non ha dormito? Il secondo è di natura giuridica: nel caso in cui avvenga un “fattaccio” gli avvocati vanno a controllare se il medico ha riposato o meno per almeno 11 ore consecutive la notte precedente. E questo è un grosso problema». Così Carlo Palermo, Segretario Anaao Assomed, spiega a Sanità Informazione i motivi per cui il sindacato ha depositato un ricorso alla Commissione Europea per avviare una procedura di infrazione contro lo Stato italiano per il mancato rispetto della Direttiva 2003/88 sull’orario di lavoro. In particolare, Anaao contesta la norma introdotta nel 2008 dall’allora Governo Berlusconi (la legge 133) che esclude i lavoratori in servizio di reperibilità attiva dal riposo giornaliero di 11 ore consecutive. «Nel nuovo contratto siamo riusciti a strappare la possibilità che chi ha lavorato la notte precedente non possa essere messo in servizio se non nel turno del pomeriggio. Ma per noi non è abbastanza e per questo ci rivolgiamo alle istituzioni europee».
Segretario Palermo, cosa volete ottenere con questo ricorso alla Commissione europea?
«La Corte di Giustizia europea non si è mai pronunciata sulla possibilità di frazionare il riposo dopo il turno di reperibilità attiva. È chiaro che il problema non sussiste se la reperibilità è totalmente passiva, cioè svolta a casa. Però con la scarsità di personale e le relative difficoltà nelle turnazioni organiche queste situazioni accadono spesso. Noi, da un lato, abbiamo presentato un ricorso alla Commissione europea, in quanto possiamo farlo direttamente come associazione, per richiedere la messa in mora dell’Italia su questa questione. Dall’altro stiamo promuovendo procedimenti in sede giurisdizionale per conto di singoli colleghi che vivono questa realtà, in quanto non abbiamo la possibilità di adire direttamente alla Corte di Giustizia ma dobbiamo passare attraverso un giudice del lavoro. Si tratta di un quesito interessante anche dal punto di vista culturale e giuridico perché non c’è, a nostra conoscenza, un pronunciamento diretto sulla questione. Ci sono vari pronunciamenti della Corte di Giustizia europea che vanno nel senso della non frazionabilità del riposo, ma nella condizione specifica della reperibilità non ve ne sono ancora».
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Se la Commissione vi darà ragione cosa può succedere? L’Italia verrebbe multata?
«A noi non interessa tanto il pagamento di una eventuale multa, in quanto questa inciderebbe poco su quel che vogliamo ottenere, ovvero il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle strutture del Ssn. A noi interessa che l’organizzazione del lavoro sia tale da poter permettere il rispetto di una norma. Puntiamo anzitutto ad affermare il principio, dopodiché il Governo, le Regioni e le singole Aziende dovranno implementare standard organizzativi e di personale volti, appunto, al rispetto della norma».
Ha detto che state seguendo i casi di singoli medici che sono in causa…
«Stiamo raccogliendo una casistica da presentare come “cause pilota” in alcune sedi del Tribunale del Lavoro, in modo da poter avere la possibilità di adire la Corte di Giustizia europea. Non aspettiamo tanto il richiamo della Commissione europea, che ovviamente ha dei tempi lunghissimi. A noi interessa un pronunciamento della Corte di Giustizia che faccia giurisprudenza in maniera diretta e che non permetta più ambiguità su questo argomento».
Quanti medici vengono sottoposti a questo tipo di turni massacranti in Italia?
«Il numero è molto consistente. Con la riduzione delle rotazioni organiche i medici di guardia sono pochi. I turni diventano pesanti e numerosi, per cui la casistica, secondo noi, è abbastanza ampia. Abbiamo cercato di porre una pezza a queste problematiche in sede di firma del nuovo contratto: abbiamo previsto che il medico che svolge la reperibilità notturna non possa essere messo in servizio il mattino successivo. Questo è importante specialmente in campo chirurgico: pensiamo ad un chirurgo che viene chiamato di notte per reperibilità, opera per 4 o 5 ore, finisce magari alle 6 del mattino e poi deve tornare in sala operatoria alle 8 per coprire il suo turno. Nel nuovo contratto è prevista la norma che chi ha lavorato la notte precedente non possa essere messo in servizio se non nel turno del pomeriggio. Certo, avremmo preferito avere 11 ore di riposo, ma non tuto si può ottenere in sede di trattativa».
La vostra intenzione era eliminare il problema in toto…
«Abbiamo una legge dello Stato che, a nostro parere, è contraria allo spirito della normativa europea. Abbiamo accettato il compromesso ma prima di siglare il contratto nella notte del 24 luglio dello scorso anno abbiamo dichiarato che avremmo posto la questione all’attenzione della Corte di Giustizia europea».
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Un medico che viene sottoposto a questi turni può muoversi da solo o deve passare attraverso il sindacato?
«Certamente può agire direttamente, come già fanno alcuni, passando attraverso il Tribunale e contestare la mancata applicazione della direttiva europea, che non può essere non applicata. Se c’è un elemento di contestazione sulla direttiva, se c’è un problema di interpretazione, deve essere il giudice a dirimere la questione o girare la problematica alla Corte di Giustizia europea. La procedura è questa. Il sindacato non può rivolgersi direttamente alla Corte».
Avete ricevuto molte richieste di assistenza da parte dei medici?
«Sappiamo benissimo che è una questione molto diffusa ma è difficile fare numeri. Noi facciamo molta attività sul territorio: andiamo negli ospedali, facciamo convegni e incontri, e quello della reperibilità notturna è un problema che ci viene sollevato spesso».
È un problema diffuso omogeneamente in tutta Italia o ci sono situazioni peggiori rispetto ad altre?
«Dipende dal personale: dove c’è carenza di organico queste situazioni avvengono più frequentemente. Certo, c’è meno personale laddove la sanità regionale è messa peggio, quindi c’è una correlazione tra le cose. Ma avviene anche in Veneto e Lombardia, per fare un esempio di sanità in condizioni avanzate. È anche una questione di sicurezza delle cure. Lei preferirebbe essere operato da un medico che la notte precedente ha riposato o che non ha dormito? E poi esiste anche un altro rischio: gli avvocati conoscono benissimo il problema, e se succede un “fattaccio” la prima cosa che vanno a guardare è se il medico abbia o meno riposato per 11 ore consecutive. Consideriamo anche che il problema della reperibilità, nel caso in cui accada qualcosa di spiacevole al mattino, non è una scusa, ma un’aggravante».
Ma in questo caso non è colpa del medico…
«Per il medico vale quanto previsto dalla Legge Gelli-Bianco. Il problema quindi è dell’Azienda: deve essere l’Azienda a fare in modo che vengano rispettati determinati standard».
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