Il primo Rapporto Cida-Censis mostra un’Italia che ha fiducia nel suo personale sanitario, ma non nella Pubblica amministrazione come totalità. Premiati gli “eroi” della pandemia: degni di stima per l’87% dei cittadini. Per il 91% ora è il turno della telemedicina
In 10 anni la Pubblica Amministrazione italiana è sempre più fragile, con tagli al personale e ai manager ed età media dei lavoratori sempre più alto. A certificarlo il primo Rapporto Cida-Censis, che mostra 132.159 unità in meno, di cui 44.083 in Sanità (-6,4%) e un’età media tra i lavoratori di 49 anni per i maschi e 50 per le donne. Resta molto alta, però, la fiducia dei cittadini verso i professionisti della salute mostrata dai sondaggi.
Secondo i dati il 78% degli italiani ha molta o abbastanza fiducia nei medici di medicina generale, l’87% nei medici ospedalieri, l’89,6% negli infermieri. Mentre il 78,3% nelle forze dell’ordine, il 74,7% negli insegnanti e il 59,2% nei presidi. Una probabile conseguenza dell’emergenza Covid e del grande lavoro di tutti lavoratori maggiormente coinvolti.
«Alla elevata fiducia nei confronti delle sue figure emblematiche – si legge nel Report – si contrappone la ridotta fiducia nella Pa come sistema, esito anche della percezione che non ci sono stati miglioramenti negli ultimi due anni: lo dichiara il 60,7% degli italiani (il 66,6% nel Sud e Isole, il 77,3% tra gli over 65), mentre per il 28% la Pa è migliorata almeno un po’ (il 32,3% nel Nord Est, il 34,3% tra i laureati) e l’11,3% è incerto».
I cittadini hanno avanzato ipotesi di miglioramento per il sistema. In primis, la semplificazione di leggi, regole e procedure (49,8%), poi assunzioni di persone capaci con metodi non clientelari (41,6%), più tecnologia digitale (26,7%), assunzioni di figure professionali con competenze specialistiche come ingegneri, esperti, tecnici di sostenibilità e del digitale (24,9%) e giovani (21,8%). Il 63,8% dei partecipanti ritiene che in un ente pubblico, ministero o ospedale sia indispensabile per fare bene incentivare i capi e i dirigenti con competenze e capacità da manager.
La richiesta resta quella di mettere i medici al centro del Servizio sanitario. Il 69,8% dei cittadini, si legge nel Rapporto, apprezza i medici «perché mettono sempre e comunque la salute del paziente al primo posto, prima dell’aspetto economico o di altro tipo». Anche per questo forse per il 74,2%, nel proprio lavoro i medici non dovrebbero essere obbligati a dedicare troppo tempo ad aspetti burocratici. Il 66,2% vorrebbe che fosse sempre salvaguardata la totale autonomia dei medici nel prendere decisioni sulla salute dei pazienti, e per il 91,4% anche se telemedicina e digitale sono essenziali, occorre sia ben conservato il rapporto diretto paziente-medico.
«Sono numeri – si legge – che raccontano l’alto valore sociale dei medici e la relativa very good social reputation. Eppure nel tempo molto poco essa è stata riconosciuta nel Servizio sanitario, come dimostra il gap retributivo con i colleghi di altri paesi. Infatti, fatta 100 la retribuzione media annua dei medici italiani, a parità di potere d’acquisto, in Germania il valore è pari a 182, nel Regno Unito a 161, in Spagna a 102 ed in Francia a 101. Pertanto, un obiettivo importante della nuova sanità post Covid-19, che deve disintossicarsi dalle logiche economiciste, è ripartire dalla neo-centralità del medico, anche nell’esercizio di funzioni dirigenziali nel Servizio sanitario, perché garante di una sanità in linea con le più profonde esigenze dei cittadini».
«Il Servizio sanitario è l’emblema del pubblico fragilizzato – conclude – e ora gli italiani si attendono che i medici, veri garanti del primato della salute, si vedano riconosciuta una nuova centralità, affinché mai più nel Servizio Sanitario prevalgano logiche ragionieristiche o extra sanitarie. La professione medica è ad alto valore sociale ed è urgente dare a questo piena espressione anche nel Servizio sanitario, riconoscendo ai gli opportuni ruoli direttivi e relativi riconoscimenti economici».
«Probabilmente i cittadini – rispondendo a una indagine di alto profilo – vedono più lucidamente della politica cosa sia necessario e in quale direzione andare per una ripresa che passi attraverso la valorizzazione delle competenze e capacità specifiche» commenta Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed.
«È necessario ricordare – conclude – che le competenze non solo non si improvvisano ma che dare loro il giusto spazio e il giusto riconoscimento non può che fare da traino alla crescita e a corretti investimenti di risorse europee, di cui la sanità deve rappresentare un capitolo imprescindibile per la coesione sociale e il benessere. Un ragionamento ben diverso da quello cui abbiamo assistito nelle decisioni più recenti, non ultima quella di attribuire ad altre professioni capacità e mansioni che sono proprie dei medici, senza peraltro tener conto dei rischi per la salute dei pazienti. La conferma della linea da seguire è nell’altissima percentuale di cittadini che richiedono di conservare il rapporto diretto tra medico e paziente».
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