E sullo scudo penale per i sanitari in pandemia: «Non si può riconoscere responsabilità laddove mancano le conoscenze. Le linee guida e le buone pratiche si stanno costruendo. In un contesto di speciale difficoltà si risponde solo per colpa grave»
Formare per prevenire l’errore, in pandemia, è ancora più importante. È stato questo il fulcro del webinar “La funzione del rischio clinico: migliorare la qualità, prevenire l’errore e ridurre il contenzioso” promosso dal provider Sanità-in-formazione in collaborazione con Consulcesi.
«Il rischio clinico ai tempi del Covid 19 assume un ruolo fondamentale per cercare di arginare la situazione– spiega Paola Frati, Professore Ordinario di Medicina Legale della Sapienza di Roma, a margine del convegno ai microfoni di Sanità Informazione –. Stiamo ancora cercando di capire come prevenire, curare e cosa dobbiamo fare. Le pandemie rientrano nella medicina delle catastrofi – prosegue -. Il sistema sanitario ne è travolto e collassa perché la richiesta di assistenza è spropositata rispetto alle possibilità».
La funzione del rischio clinico, infatti, è centrale nella professione sanitaria soprattutto in questo momento storico: «Non dobbiamo aver paura di ammettere che l’errore in medicina c’è – precisa la professoressa Frati -. Inseguire l’errore non va bene, va prevenuto con l’implementazione di percorsi virtuosi. Ormai, quasi tutte le strutture si sono dotate di unità di rischio clinico».
La gestione del rischio clinico prevede un dialogo continuo tra strutture e professionisti sanitari. È opportuno, infatti, che sia il medico a segnalare l’errore «qualora si accorga che qualcosa non è andato nel verso giusto». L’obiettivo non deve essere «perseguire e individuare il colpevole, ma crescere insieme per prevenire l’errore» sottolinea Paola Frati. «Le strutture sanitarie devono essere dotate obbligatoriamente di unità di rischio clinico e di valutazione dei sinistri. Il rischio clinico vive del contenzioso e il contenzioso vive del rischio clinico, non sono due scompartimenti che non si toccano» aggiunge la professoressa.
La professoressa Frati ricorda che la Legge Gelli parla di sicurezza alle cure come parte fondante del diritto alla salute, di linee guida e buone pratiche: «L’idea è quella di spostare l’obbligo risarcitorio soprattutto sulle strutture, di tenere indenne il professionista salvo il caso della rivalsa quindi della colpa grave. Il professionista sanitario – evidenzia – non è un comune malvivente ma un soggetto che nella vita persegue il bene-salute del paziente».
Ma, in piena emergenza sanitaria, la questione si complica. Strutture e operatori sono stati trascinati in un contesto imprevisto, complesso e di enorme gravità. Ci si chiede se la normativa, la Legge 24, riesca a tutelare i professionisti sanitari anche in questa situazione eccezionale. La discussione sulla possibilità di introdurre uno scudo penale per i sanitari – sia per i trattamenti in epoca Covid-19 che per l’attività vaccinale – va avanti da mesi. È di ieri l’approvazione del nuovo decreto-legge che esclude la responsabilità penale del personale medico e sanitario che si occupa della somministrazione dei vaccini anti Sars-CoV-2, per i delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose commessi nel periodo emergenziale. La protezione legale ha validità purché le vaccinazioni siano state effettuate in conformità con le indicazioni rilasciate dagli organi preposti.
Medici e professionisti sanitari tuttavia non hanno nascosto la loro delusione: chiedevano infatti un’estensione della tutela anche per chi sta curando i malati Covid, e non solo per chi si occupa delle vaccinazioni. «Un’applicazione rigorosa della Legge 24 è sufficiente – precisa Paola Frati – ma se vogliamo offrire una maggiore tutela, vista la particolarità del contesto pandemico, potremmo rafforzare l’articolo 6. Non si può riconoscere responsabilità laddove mancano le conoscenze. Le linee guida e le buone pratiche si stanno costruendo. In un contesto di speciale difficoltà si risponde solo per colpa grave».
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