Il videotestamento della contessa ha riportato in primo piano la questione. Per l’anestesista Luciano Orsi la scelta rientra pienamente nell’ambito delle cure palliative, disciplinate dalla legge 38 del 2010
La scomparsa di Marina Ripa di Meana e, in particolare, la sua scelta di ricorrere alla sedazione profonda per affrontare gli ultimi giorni di vita, continua a far discutere il mondo accademico e politico.
La contessa, sposata con l’ex ministro Carlo Ripa di Meana, aveva affidato a Maria Antonietta Farina Coscioni le sue ultime volontà, registrate in un videotestamento andato in onda sul Tg5, in cui parlava della sua scelta, giunta dopo aver pensato anche al suicidio assistito in Svizzera, di ricorrere alla sedazione profonda, un messaggio diffuso affinché tutti sappiano «che si può scegliere di tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze anche a casa propria o in ospedale». Aveva così parlato di «via italiana» alle cure palliative, una presa di posizione che ha spinto i radicali a presentare un esposto all’Ordine dei medici di Roma. Nel dibattito pubblico è tornato in primo piano il tema della differenza tra sedazione profonda e eutanasia, così come era avvenuto nel febbraio 2017 con il caso di Dino Bettamin, macellaio settantenne di Montebelluna Treviso), affetto da sclerosi laterale amiotrofica dal 2012, che aveva deciso di ricorrere alla sedazione palliativa profonda per restare addormentato fino alla morte.
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Oggi sul tema interviene anche la Fondazione Maruzza, da sempre impegnata nella diffusione delle cure palliative, che ricorda come «la loro applicazione sia ancora troppo carente» e che con l’invecchiamento della popolazione «aumenterà l’esigenza di prendersi cura di tutte le persone affette da malattie croniche o inguaribili e che si avvicinano alla fase finale della loro vita». In realtà in Italia, ormai da diversa tempo, una legge c’è. E’ infatti la legge 38 del 2010 a disciplinare la materie delle cure palliative, anche se non parla espressamente di sedazione profonda.
«Sancisce che le cure palliative, ormai entrate di fatto nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, sono un diritto del cittadino – spiega Luciano Orsi, anestesista rianimatore e palliativista, vicepresidente della Società Italiana di cure palliative – Ciò vuol dire che tutte le procedure terapeutiche che rientrano in questa categoria, compresa la sedazione profonda, sono lecite dal punto di vista legale, giuridico e deontologico».
Orsi sottolinea che «la decisione finale è condivisa tra un paziente cosciente e in grado di relazionarsi, che deve dare il proprio consenso, e il gruppo di medici, infermieri e psicologi che si occupa del trattamento palliativo. Tutte le ricerche scientifiche in merito hanno ampiamente dimostrato – conclude – che la sedazione palliativa profonda, a differenza dell’eutanasia, non anticipa né accelera la morte. Al massimo, può solo allungare i tempi di sopravvivenza, non certo accorciarli».