Nel webinar organizzato da Big Data in Health Society emerge l’esigenza di promuovere consapevolezza sull’importanza dei dati nella gestione del rischio
Il Risk Management è uno dei fattori fondamentali per una corretta gestione del rischio in tutti i settori (ambientale, sanitario, finanziario, informatico). Ed è un fattore che non può non tener conto dei big data, dal momento che attualmente il concetto di rischio è sistemico, integrato e trasversale. I fattori di rischio interagiscono tra loro, così come è necessario saper comunicare efficacemente il rischio, per non spaventare né far sottostimare. La corretta percezione del rischio è fondamentale per far sì che le decisioni politiche adottate sulla base dell’analisi di rischio vengano accolte e rispettate. E la corretta percezione di rischio passa attraverso una diffusa cultura dello stesso, degli strumenti a disposizione per farvi fronte, e del consapevole utilizzo dei dati per gestirlo. Di questi temi si è parlato ieri durante il webinar organizzato da Big Data in Health Society, intitolato appunto “Big Data 4 Health Risk Management”.
«Il risk management in sanità è interamente basato sull’interazione tra uomo e organizzazione – commenta Andrea Minarini dell’AUSL Bologna. – I modelli di gestione del rischio se rodati portano importanti risultati in termini di sicurezza. I sistemi in cui l’uomo è sia soggetto che oggetto devono avere necessariamente una cultura della gestione del rischio, perché adesso non si parla più di rischio clinico ma di tutti i domìni del rischio che si integrano tra loro. E qui la tecnologia fa la differenza – aggiunge Minarini – ma bisogna capire l’uso che se ne può fare alla luce delle cogenti normative in vigore, e a tale fine è fondamentale che tutto il personale sanitario acquisisca dimestichezza con le nuove tecnologie informatiche e con le norme che ne regolano l’utilizzo. L’imperativo è quindi uniformare la cultura di questi modelli di gestione del rischio dal punto di vista informatico, sicuramente molte regioni e molte realtà sono già più avanti rispetto ad altre».
«In sanità, se la gestione del rischio attraverso il dato non sarà portata avanti in modo appropriato e consapevole, rischiamo di avere un futuro distopico – afferma Anna Guerrieri, risk manager in SHAM -. Ci siamo quindi proposti di misurare con una survey il livello di consapevolezza nelle strutture sanitarie rispetto a queste norme. Il quadro che ne è emerso non è incoraggiante – osserva Guerrieri – nonostante la percezione dell’importanza del cyber risk, questa non si traduce in una adeguata conoscenza (e i recenti eventi in Regione Lazio lo hanno dimostrato): il 24% delle strutture partecipanti alla survey ha dichiarato di aver già subìto attacchi informatici, anche configuranti crimini, e solo il 44% delle strutture a seguito di eventi avversi a livello di sicurezza informatica si è attivata per predisporre dei correttivi. Infine – conclude il risk manager di SHAM – solo il 10% delle strutture ha dichiarato di essersi dotata di modelli certificati per l’Information Security Management, e solo il 18% ha un team cyber dedicato».
«Quando si vive un’emergenza si abbassano certi standard, è inevitabile – afferma Francesca Moccia, vicesegretario generale di Cittadinanzattiva -. In pandemia la priorità è stata proteggere i cittadini e in qualche modo si è riuscito, il problema è che si è “perso” molto di tutto il resto. In pandemia tutti i risk manager e tutte quelle figure professionali su cui negli anni si è investito sono in realtà scomparsi, tutto è passato in altre mani. Dobbiamo riportare la gestione del rischio a chi ne ha realmente competenza – continua Moccia – perché la sensazione è che adesso siamo concentrati su altro, vaccinazioni e carenza delle cure in primis, ma abbiamo in generale abbassato la guardia sul tema della gestione del rischio. Viceversa, questo è un ambito che va ora più che mai monitorato – conclude – e su cui dobbiamo riprendere il polso della situazione».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato