L’analisi del professore Antonio Oliva, associato di Medicina Legale all’università Cattolica: «Le aziende ospedaliere potrebbero essere chiamate in causa per il risarcimento del danno per colpa organizzativa»
Interventi chirurgici rimandati, visite di controllo annullate, cure ritardate. O ancora, pazienti che hanno contratto il Covid durante la degenza in ospedale. Tutti effetti collaterali della pandemia che hanno, ancora una volta, diviso l’Italia in due: da una parte, le strutture ospedaliere che hanno risposto a tutti i bisogni di salute in condizioni di efficienza, efficacia e sicurezza, dall’altra quelle che non sono riuscite a garantire degna assistenza alle categorie “fragili”.
E se questi pazienti, penalizzati dallo stato di emergenza, decidessero di avanzare richieste risarcitorie legate al ritardo dei trattamenti, chi ne risponderebbe legalmente, trattandosi di uno stato di pandemia? «Ci aspettiamo un futuro contenzioso da parte dei pazienti ordinari – Covid-free – che non sono riusciti ad accedere alle cure. In questo caso, verranno eventualmente chiamate in giudizio, per risarcimento del danno, le aziende ospedaliere in termini di colpa organizzativa. Allo stesso tempo, è verosimile che i processi penali che giungeranno a sentenza di condanna definitiva per errori imputabili a singoli operatori sanitari saranno abbastanza limitati». A rispondere, a Sanità Informazione, è Antonio Oliva, professore associato di Medicina Legale all’Università Cattolica, che sull’argomento ha organizzato, per il 29 gennaio 2021, il webinar “Controversie nelle misure di lockdown: tutela del diritto alle cure ed implicazioni medico-legali”.
I possibili scenari di contenziosi medico-legali potrebbero essere molteplici, a seconda dei contesti di cui si discute – ospedali o terapie domiciliari – e delle patologie da cui sono affetti i pazienti. Per questo, per semplificare la complessa materia, analizzeremo il possibile iter giuridico di due macro-categorie di pazienti: coloro che hanno subito un ritardo nelle cure, intese come visite, terapie o interventi chirurgici, e coloro che hanno contratto il Covid durante la degenza in ospedale, veicolato dal personale sanitario.
«In entrambi i casi, la linea di risposta giuridica al quesito “chi risponderà legalmente ad eventuali richieste risarcitorie legate al ritardo dei trattamenti” risiede nell’articolo 1.218 del codice civile (Responsabilità del debitore)», spiega il professore Oliva. Secondo questo articolo “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
«Saranno le aziende ospedaliere ad essere chiamate in causa per il risarcimento del danno per colpa organizzativa – aggiunge il docente -. Una colpa che dovrà, ovviamente, essere dimostrata nel corso del contenzioso in tribunale. Con una precisazione: sarà importante distinguere tra prima e seconda ondata. Mentre le aziende potranno più agevolmente difendersi lamentando l’imprevedibilità dell’emergenza registrata nella primavera dello scorso anno, faranno più fatica a ricorrere all’argomento dell’impreparazione alla sorpresa con riguardo alla seconda ondata, perché hanno avuto tempo per organizzarsi sulla base dell’esperienza vissuta».
«I pazienti che hanno subito un ritardo nelle cure, in virtù dell’articolo 32 della Costituzione (La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti …, ndr), potranno ritenere inammissibile che una struttura sanitaria possa svolgere la sua attività solo a vantaggio di una parte di pazienti, che in questo caso sono gli affetti da Covid-19, non garantendo il diritto alle cure di tutti gli altri degenti. Coloro che, invece, hanno contratto il Covid all’interno della struttura in cui erano ricoverati per altra patologia – sottolinea l’esperto – dovranno dimostrare che il contagio è avvenuto per la non ottemperanza della struttura sanitaria ad una o più procedure di sicurezza imposte dallo stato di emergenza».
Più limitate le possibilità, invece, di intraprendere un processo penale. «Esperti giuristi, che finora si sono pronunciati sull’argomento, ritengono che solo in presenza di errori grossolani nella gestione e trattamento di un paziente si potrebbe arrivare ad una condanna a seguito di un processo penale, come noto retto da uno standard probatorio assai rigoroso, l’oltre ogni ragionevole dubbio. Soprattutto con riferimento alla prima ondata, è fondata l’ipotesi che già in sede di indagini preliminari la regola di esperienza sottesa all’articolo 2236 del codice civile (attività medica svolta in condizioni di speciale difficoltà), possa trovare applicazione anche nel campo penale, quale riconoscimento delle straordinarie difficoltà logistiche e tecnico-scientifiche che hanno caratterizzato il primo approccio all’emergenza sanitaria», sottolinea Oliva.
Finora è stato chiarito chi risponderà legalmente di eventuali richieste risarcitorie. Ma chi sarà ad avanzarle? «Per ritardi o omissioni delle cure è ipotizzabile che sia il singolo paziente a presentare la sua denuncia – risponde il professore -. Negli ospedali in cui più degenti hanno contratto il Covid, veicolato dal personale sanitario – si pensi alla problematica delle RSA -, è verosimile che si possa procedere con una class action».
«Alcuni giuristi hanno ipotizzato la possibilità di provvedere al risarcimento dei pazienti che hanno contratto il Covid in ospedale attraverso un indennizzo statale. Per via analogica – dice il docente – si potrebbe procedere, con alcuni correttivi, seguendo quanto già sperimentato con la legge 210 del 1992 relativa agli indennizzi per gli infettati da HIV, HBV e HCV a seguito di vaccinazioni obbligatorie o trasfusioni di sangue infetto. In altre parole, Governo e ministero della Salute potrebbero concertare un sistema indennitario statale che, almeno per questa categoria di pazienti, bypasserebbe il contenzioso medico-legale, ancorché si debba valutare attentamente l’impatto che tale opzione determinerebbe sulle finanze pubbliche. Per gli altri casi analizzati, ipotizzando ritardi o omissioni delle cure, la legge di riferimento – conclude Oliva – potrà essere la legge 24/2017 (Gelli-Bianco: “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”)».
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