Claudio Costantini, presidente Sigot Piemonte-Valle d’Aosta: «Il numero di positivi all’interno delle Rsa sta subendo una nuova impennata, ma grazie anche ai tamponi antigenici abbiamo un miglior controllo degli asintomatici»
A San Giorgio a Cremano, nella provincia di Napoli, 30 contagiati. Cinquantasei a Fiuggi, ventitré a Montedomini, Firenze. Sono solo alcuni dei più recenti focolai di Covid-19 esplosi all’interno delle Residenze sanitarie assistenziali italiane.
«Il numero di positivi all’interno delle Rsa sta subendo una nuova impennata – avverte Claudio Costantini, geriatra, consigliere nazionale Sigot (Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio) e presidente Piemonte-Valle d’Aosta della stessa società scientifica -. Ma, a differenza della fase 1 della pandemia, ora siamo in grado di individuare più facilmente anche i positivi asintomatici, grazie all’utilizzo dei tamponi antigenici. Questi test, pur avendo il limite di non rilevare una carica virale molto bassa, hanno il vantaggio di essere veloci e flessibili. I protocolli sull’uso dei tamponi variano a seconda dei territori ma, in media, sono effettuati ogni due settimane su ospiti e personale, tempo che per i dipendenti, in alcune realtà, si riduce a sette giorni».
Il virus arriva quasi sempre dall’esterno, nonostante la maggior parte delle strutture abbia già vietato le visite di amici e parenti. «I protocolli di sicurezza ed intervento, grazie all’esperienza vissuta la scorsa primavera, sono oggi più efficaci ed efficienti» dice Costantini, responsabile sanitario in due diverse Rsa per anziani di oltre 100 posti letto ciascuna. Ma, ovviamente, anche in questo caso ci sono le eccezioni che confermano la regola: «La situazione non è affatto omogenea e, inoltre, non abbiamo ancora a disposizione un’indagine in grado di mappare la condizione reale delle Rsa di tutta Italia: l’Istituto superiore di Sanità ha avviato uno studio per fare il punto della situazione, ma su 3.400 Rsa contattate solo la metà ha inviato il proprio resoconto».
Le Residenze sanitarie assistenziali – molte ma non tutte – hanno redatto anche dei protocolli di sicurezza e di intervento in caso di contagi da Covid-19. «Non dimentichiamoci, però, – dice il geriatria – che la capacità di accoglienza delle singole strutture può variare in modo significativo: il potenziale organizzativo di una residenza che ospita più di 200 persone non può essere equiparato a quello di una Rsa con 20 posti letto».
All’efficacia dei protocolli interni va associata, poi, la risposta territoriale: «Ci sono alcuni casi di contagio che possono essere trattati in struttura – commenta lo specialista -. Ma i pazienti più critici, quelli che presentano gravi difficoltà respiratorie, devono essere trasferiti nei reparti Covid. Di conseguenza, la possibilità di offrirgli cure adeguate dipenderà dall’organizzazione territoriale e dai posti letto che la Regione avrà a disposizione».
È grazie all’esperienza dei mesi scorsi, dunque, che il sistema oggi può funzionare meglio anche all’interno delle strutture che accolgono solo persone fragili. Eppure, i focolai continuano a svilupparsi all’interno delle Rsa ed a mietere vittime. Qual è il tassello mancante affinché tutti gli ingranaggi della macchina possano funzionare al meglio? «Prima di tutto una corretta informazione da parte delle unità di crisi e delle strutture che sono deputate alla gestione dell’epidemia», risponde Costantini.
Il secondo nodo da sciogliere è, invece, presente da prima che la pandemia facesse la sua comparsa: «La presenza di medici e infermieri all’interno delle Rsa è troppo scarsa. E, nonostante questo abbia creato grosse difficoltà anche durante la fase 1 – sottolinea il geriatra – non si è fatto nulla per incrementarne il numero in vista di questa nuova ondata. Le Rsa sono oggi strutture che accolgono malati cronici, multipatologie, demenze, individui che necessitano di nutrizione artificiale, persone in stato vegetativo. Per la complessità delle malattie trattate le Rsa possono essere paragonate a tutti gli effetti a reparti ospedalieri di geriatria o di lungodegenza e, come tali, – conclude Costantini – necessitano di una ristrutturazione dell’organico che contempli la presenza di un numero di medici e infermieri adeguato ai posti letto».
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