Dario Roccatello e Simone Baldovino (Registro malattie rare Piemonte e Valle d’Aosta): «Ecco l’esperienza del nostro database, leader in Italia»
Nel 2013 i sistemi sanitari generavano 153 exabytes di dati, cioè 260 (2 elevato a 60). Nel 2020 questo valore è diventato 2314 exabytes. È forse questa misura a dare l’idea dell’urgenza e dell’importanza dei Big data nel mondo della sanità. Si tratta di una rivoluzione che sta ovviamente impattando in ogni area dell’economia e della società e che però nel mondo della salute è dotata di alcune specificità importanti.
In Piemonte esiste da anni un esperimento leader nell’archiviazione e nella sistematizzazione di dati sanitari ed è il Registro delle malattie rare del Piemonte e della Val d’Aosta. Sanità Informazione ha colloquiato con Dario Roccatello, Professore Ordinario di Nefrologia, e con Simone Baldovino, Ricercatore Universitario di Patologia Clinica, entrambi parte di importanti team universitari e di ricerca fra cui il Coordinamento della Rete delle malattie rare del Piemonte e della Valle d’Aosta.
Un progetto di digitalizzazione sanitaria come il Registro regionale malattie rare nasce con l’obiettivo di “costituire una banca dati centralizzata utilizzabile ai fini statistici ed epidemiologici” e “agevolare la circolazione delle informazioni tra i presidi della rete”. Come procede quest’esperienza e quali lezioni possiamo già trarne?
«Il Registro delle malattie rare del Piemonte è uno dei più antichi d’Europa. Raccoglie i dati di oltre 35.000 pazienti e ormai permette di effettuare anche valutazioni di incidenza. Oltre a fornire dati epidemiologici il Registro è fondamentale per garantire la governance della rete per le malattie rare. Il Piemonte si è dotato di una rete diffusa che coinvolge tutte le Aziende Sanitarie Regionali. Il Registro permette di verificare l’adozione delle raccomandazioni regionali per diagnosi e cura e monitorare eventuali “scostamenti”, un aspetto di particolare rilevanza in un ambito in cui il ricorso al trattamento off-label non è infrequente. Il Registro, infine, favorisce l’interazione tra i presidi della rete garantendo una puntuale presa in carico dei pazienti».
Soprattutto in tema di protocolli concordati per la diagnosi delle specifiche malattie rare, la sistematizzazione dei dati sanitari ha saputo fare la differenza? Quali protocolli innovativi sono stati proposti?
«La sistematizzazione dei dati sanitari, resa possibile dal Registro per le malattie rare, insieme con il recepimento delle istanze degli operatori e delle associazioni di pazienti ha permesso di identificare, all’interno di cluster omogenei di patologie, le criticità sulle quali focalizzare l’attenzione promuovendo la nascita di gruppi di lavoro (cosiddetti “gruppi consortili”) per la realizzazione dei PDTA regionali. I nostri PDTA non rappresentano un’implementazione acritica di linee guida di società scientifiche. Sono il prodotto di una condivisione di esperienze multidisciplinari che coinvolgono la maggior parte degli esperti della Regione. I PDTA sono integrati nella realtà territoriale e rappresentano quanto di meglio è possibile erogare, in termini assistenziali, compatibilmente con le risorse regionali. Si è ritenuto che la partecipazione alla stesura dei PDTA di tutti gli operatori a vario titolo coinvolti con la malattia di interesse assicurasse una più affidabile applicazione delle raccomandazioni e una più efficace presa in carico del paziente. Va sottolineata l’importanza delle tecnologie informatiche e della rete web che in questo periodo, caratterizzato da enormi difficoltà, permette di far procedere tramite videoconferenze i lavori di stesura e manutenzione dei PDTA».
Quanto è importante avere un modello unico regionale di certificazione della malattia? Esistono quindi rilevanti disparità nella modulistica? E che effetti negativi hanno sulla vita del paziente?
«Il modello regionale unico per la certificazione delle malattie rare è stato fondamentale per la rete del Piemonte e della Valle d’Aosta. Al paziente può essere formulata una diagnosi di malattia rara in una qualsiasi azienda sanitaria regionale. Oltre 500 operatori sono abilitati all’uso del Registro informatico. E il modello unico di certificato di malattia è riconosciuto da tutti gli uffici di esenzione delle Aziende Sanitarie Regionali. A breve il sistema informatizzato di gestione del Registro verrà connesso con l’Anagrafe Regionale degli Assistiti e il paziente potrà ottenere l’esenzione per malattia rara direttamente a domicilio. Il sistema unico regionale di gestione del Registro permette anche una gestione centralizzata dei piani terapeutici: il medico specialista prescrive i farmaci necessari per la cura della malattia rara e il servizio farmaceutico dell’azienda dove il paziente risiede recepisce la prescrizione senza spostamento di materiale cartaceo. Allo stesso modo è possibile per il Centro di Coordinamento e per il settore farmaceutico regionale acquisire in tempo reale una visione complessiva delle prescrizioni e valutare eventuali anomalie».
Sistema di difesa privacy e dati sanitari, ovviamente le garanzie saranno al massimo livello ma è possibile che ci possa essere qualcosa da migliorare. Quali i fronti di miglioramento nella vostra azione che in generale nel contesto Big data and Health?
«Il sistema del Registro per le malattie rare del Piemonte e della Valle d’Aosta è gestito dal CSI-Piemonte, un consorzio leader nel settore dell’informatizzazione per le pubbliche amministrazioni. L’accesso al Registro rispetta la normativa prevista dal GDPR EU. Recentemente il Registro è stato oggetto di audit da parte di un ente certificatore esterno superando largamente tutte le valutazioni. Il contesto dei Big Data pone numerosi problemi in tema di privacy e dati sanitari. Forse i maggiori rischi non sono riconducibili a gruppi di hacker che potrebbero attaccare i sistemi informatici pubblici che gestiscono terabyte, ma alla sempre maggiore pervasività delle aziende private che raccolgono informazioni sulla salute di moltissimi individui. Si pensi alla mole di dati raccolti da app come Apple Health e Google Fit e dai rispettivi smart device. Questi sistemi raccolgono numerose informazioni sulla salute dei pazienti che, ancorché anonime, potrebbero essere utilizzate per tracciare dei profili di rischio relativo ad esempio alla domiciliazione in determinate zone. Questi profili potrebbero teoricamente essere utilizzati per escludere alcuni soggetti dalle assicurazioni sulla vita o per modificarne i premi. Un altro grosso problema è legato alla scarsa consapevolezza sui rischi della condivisione in rete di informazioni personali da parte di moltissime persone: è sconcertante come tantissimi utenti della rete condividano liberamente sui social network informazioni sanitarie proprie e dei loro congiunti. È certamente necessaria una maggior alfabetizzazione sui rischi connessi con tali comportamenti».
Collegandoci a quest’ultima, quale è la principale frontiera e, per così dire, sorpresa che riceveremo dall’impegno Big data and Health nel prossimo futuro? Quali innovazioni ci dobbiamo attendere?
«Nel 2013 i sistemi sanitari generavano 153 exabytes di dati, cioè 260 (2 elevato a 60). Nel 2020 questo valore è diventato 2314 exabytes. Ci troveremo a dover gestire sfide sempre più impegnative legate alla necessità di processare enormi quantità di dati prodotti a velocità crescente. Il sequenziamento del primo genoma ha richiesto oltre 10 anni. Oggi lo stesso risultato può essere ottenuto in un giorno. Un genoma contiene circa 1,5 Gigabyte di informazioni, quelle che potremmo trovare sui libri di due scaffali di una biblioteca. Un’azienda USA che si occupa di analisi del genoma stima di poter vendere ai privati 100 milioni di kit nel 2021. Naturalmente questi dati devono essere analizzati per identificare le mutazioni associate alla patologia da cui è affetto il paziente. In futuro si dovranno aumentare le capacità di calcolo e capacità predittive, utilizzando i moderni approcci basati sull’intelligenza artificiale e sul machine learning, e “stoccare” quantità sempre maggiori di dati che già oggi rischiano di soverchiare le capacità dei data-center disponibili. Una possibile soluzione potrebbe essere lo sviluppo di standard di compressione, analoghi al MPEG ed al MP3, oggi in uso per i film. Il nostro gruppo è direttamente implicato in un progetto di R&S che include, oltre all’Università di Torino, il CSI Piemonte, l’ISI Foundation e alcuni partner stranieri. Il progetto ha lo scopo di introdurre l’intelligenza artificiale, e gli standard di compressione nello studio delle malattie rare di origine genetica».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato