La denuncia di Anaao Campania: «I nostri medici in burn out tra blocco dei contratti e carenze di organico»
Diciassettemila operatori sanitari in pensione negli ultimi dieci anni, nella sola regione Campania. L’esigenza, nel minor tempo possibile, è di rimpiazzarne almeno la metà. Eppure, a causa del blocco delle assunzioni, questa cifra sembra ora pura utopia. Un problema che si ripercuote sull’assistenza ai cittadini, e che affonda le radici in una questione complessa: il commissariamento decennale della Regione Campania, e le politiche di austerity ad esso connesse.
«Si tratta di politiche – spiega Maurizio Cappiello, del direttivo nazionale Anaao Assomed – che hanno determinato da un lato la riduzione dei posti letto, quindi la possibilità di poter ricoverare i pazienti, e d’altro canto una riduzione drastica del personale: parliamo di 17mila operatori della sanità negli ultimi dieci anni. Il problema di fondo – continua Cappiello – è che un’errata o cattiva programmazione non ci permette nell’immediato di andare a sanare queste esigenza e questi buchi di organico, che poi si traducono in problematiche assistenziali quotidiane: i pronto soccorso sguarniti di medici e infermieri, tempi di attesa dilatati, ma soprattutto la chiusura di strutture ambulatoriali fondamentali nella gestione di tutte quelle patologie differibili e che invece si riversano in PS, alimentando quindi un circolo vizioso. Se a questo – conclude – aggiungiamo il blocco del contratto, anch’esso decennale, e il disagio lavorativo che si vive in queste particolari realtà, si crea una tempesta perfetta che è sotto gli occhi di tutti».
Insomma, i medici “superstiti” lavorano, per usare un termine entrato ormai nel gergo comune, in trincea. Ma a che prezzo? «Il medico lavora in trincea perchè deve difendersi – commenta Vincenzo Bencivenga, segretario regionale Anaao Campania – e nel momento stesso in cui si reca sul posto di lavoro assume un atteggiamento di difesa. Pensiamo alla sottodotazione organica, quindi poco personale per troppi accessi, specialmente nei Pronto Soccorso cittadini; questa – continua Bencivenga – è una delle cause principali di ricorso alla medicina difensiva, perchè molti pazienti di Pronto Soccorso vi ricorrono o perchè non possono accedere a cure ed analisi specialistiche per motivi economici, o perchè le aziende sanitarie sul territorio precludono questa modalità di accesso alle cure sempre per motivi di sottodotazione di personale. Ecco che allora molti medici iniziano a soffrire anche della sindrome da burn out». Un prezzo troppo elevato, che la sanità italiana non può permettersi.