«Ci sono misure inammissibili come la deroga all’orario di lavoro, l’assunzione di neolaureati con approssimativi percorsi di formazione e l’assunzione “a chiamata” di liberi professionisti», sottolinea il presidente della Federazione Guido Cimo
«Il piano delle Regioni per il SSN rischia di essere un furbo tentativo di correre ai ripari su un’emergenza che loro stesse hanno causato e di minare ulteriormente il terreno con azioni che segnerebbero il completo declino delle strutture pubbliche e l’ulteriore fuga dei medici». Queste le prime considerazioni del presidente della Federazione CIMO-FESMED, Guido Quici, al testo che la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome intende proporre al ministro della Salute con soluzioni di emergenza per la sanità e per la carenza di medici.
«A fianco di proposte di buon senso che potremmo anche condividere, troviamo misure inammissibili come la deroga all’orario di lavoro (cui il nuovo contratto ha purtroppo già aperto la strada), l’assunzione di neolaureati con approssimativi e difformi percorsi di formazione che non garantiscono competenze adeguate e l’assunzione “a chiamata” di liberi professionisti», spiega Quici, aggiungendo che “tutto ciò fa parte di un disegno di progressivo abbassamento della qualità del servizio nel SSN e di task shifting delle competenze del medico ad altre professioni sanitarie. Dopo 10 anni di politiche di ridimensionamento del SSN, di mancato turnover, di depotenziamento delle strutture sanitarie, di tagli al costo del personale, di riduzioni di migliaia di strutture complesse e di strutture semplici (tra il 2010 e il 2017, rispettivamente -2.655 e -6.740) con conseguente riduzione della offerta sanitaria; dopo 10 anni di risparmi delle Regioni accumulati proprio sui sacrifici economici e personali dei medici, ecco che la “bacchetta magica” è un piano che nasconde, insieme ad alcune proposte di buon senso che potevano essere attuate da tempo, altre che, sostanzialmente per abbassare i costi, riducono servizi e qualità delle prestazioni mettendo a rischio i pazienti e la sicurezza delle cure».
CIMO-FESMED ricorda che la carenza di medici è diventata insostenibile soprattutto perché oltre il 30% dei medici in attività ha superato i 60 anni ed un ulteriore 38% è tra i 50 e i 60 anni. Una recente indagine CIMO, condotta a campione in alcuni ospedali italiani, testimonia che nella maggior parte dei casi le unità di degenza e i servizi hanno quasi tutto personale medico oltre i 62 anni. Stante che il nuovo contratto consente di esonerarli dalle guardie, chi coprirà allora i turni? Chiuderanno le strutture?
«Non si è voluto, come più volte richiesto, attivare il cosiddetto ospedale di insegnamento; non si è voluto ascoltare quanto le Organizzazioni Sindacali hanno più volte denunciato, non si è voluto compensare la crescente e grave emorragia legata all’esodo dalle strutture pubbliche ed ora che è tardi e che si tenta di intervenire, le proposte che vediamo da parte delle Regioni sono il classico intreccio di rimedi emergenziali e furbizie finalizzate a far passare il criterio di abbassamento dei livelli di competenza e il trasferimento di mansioni a personale meno specializzato, a costi più bassi», afferma il Presidente di CIMO-FESMED.
La Federazione ritiene che, ancora una volta, manchi la volontà politica di un serio sostegno alla sanità pubblica e che personale sanitario e cittadini debbano sapere che molti dei cambiamenti in atto sono figli di una strategia di spartizione del valore della sanità, diminuendo la qualità di quella pubblica e universalistica a vantaggio di altri sistemi, in cui l’accesso alle cure sarà differenziato.
CIMO-FESMED chiede dunque al Ministro della Salute Speranza di aprire un confronto con le parti sociali e le principali associazioni di categoria, al fine di affrontare i temi dell’emergenza di personale e dare una corretta prospettiva alle future strategie della sanità nel Paese.