Il responsabile di Federsanità ANCI sottolinea il fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre più grandi. «Ogni anno si laureano circa 10mila persone, ma ci sono borse di specializzazione per circa 6700 – spiega Gelli a Sanità Informazione -. Quindi c’è un gap ancora di alcune migliaia di borse che non è colmato e queste persone sono potenzialmente dei disoccupati»
Mille medici all’anno lasciano l’Italia per andare a lavorare all’estero. È uno dei dati su cui si sofferma Federico Gelli, responsabile rischio in sanità di Federsanità ANCI e fautore della Legge 24 del 2017 che ha rivoluzionato l’ambito della responsabilità medica. Un fenomeno grave, che si lega strettamente a quello della carenza di medici e al famoso ‘imbuto formativo’ che di fatto costringe molti camici bianchi a lasciare il Belpaese per tentare fortuna all’estero. «È un danno per il nostro Sistema perché formare un medico costa allo Stato italiano qualcosa come circa 150mila euro. Per avere il totale basta fare una semplice moltiplicazione: 150mila per mille che è circa il numero effettivo di professionisti che ogni anno vanno a lavorare all’estero», chiarisce Gelli, che poi torna ad incalzare il Governo chiedendo l’approvazione degli ultimi tre decreti attuativi della Legge che porta il suo nome: «Darebbero una boccata d’ossigeno a tutto il sistema perché la Legge senza la parte assicurativa è ovviamente in sofferenza».
Onorevole, nel suo intervento al convegno organizzato da Sanità Informazione sui medici specializzandi ha citato dei numeri molto importanti, in particolare riguardo alle domande al ministro della Salute per chiedere documentazione per lavorare all’estero. Ci può riepilogare questi dati?
«Negli anni 2000-2005 erano pochissimi i medici che guardavano con interesse al lavoro all’estero, al di là dei percorsi formativi, di studio e di ricerca. Si parlava di qualche centinaio di casi. Nel 2017 siamo ad oltre 2500 richieste di documentazione e il dato stimato ad oggi è di circa mille medici che ogni anno vanno a lavorare all’estero con un danno per il nostro Sistema perché formare un medico costa allo Stato italiano qualcosa come circa 150mila euro. Per avere il totale basta fare una semplice moltiplicazione: 150mila per mille che è circa il numero effettivo di professionisti che ogni anno vanno a lavorare all’estero. Su questo credo che il Governo e il Ministro debbano intervenire per evitare questa vera ‘fuga di cervelli’».
La motivazione principale è questo ‘imbuto’ formativo di cui si diceva. Ma ci sono anche altre motivazioni che spingono i medici ad andare all’estero?
«In passato una motivazione era anche quella legata all’assenza di norme di tutela e di garanzia sull’attività professionale. Con l’entrata in vigore della Legge 24 del 2017 che porta il mio nome almeno da questo punto di vista i professionisti si sentono più garantiti e più tutelati. Rimane però l’imbuto formativo. Ogni anno si laureano circa 10mila persone, ma ci sono borse di specializzazione per circa 6700. Quindi c’è un gap ancora di alcune migliaia di borse che non è colmato e queste persone sono potenzialmente dei disoccupati e quindi molti di questi decidono di recarsi all’estero per la specializzazione e poi rimangono all’estero. Quindi abbiamo formato un bravo professionista e poi dopo lo regaliamo come intuizione, come genialità, come intelligenza, come cultura ad un Paese estero. Credo che su questo bisognerà intervenire energicamente per evitare che questo in qualche modo si sviluppi ancora di più».
Un’ultima battuta sulla Legge che porta il suo nome. Lei diceva che sui decreti attuativi si è persa traccia soprattutto sul versante delle assicurazioni. Il ministro Di Maio sarà pressato su questo, immagino…
«Beh io spero di sì, anche se mi sembra che abbiano altre priorità nel Paese in questo momento. Credo che ormai la questione è abbastanza in una fase terminale nel senso che c’era già un lavoro istruttorio degli uffici, noi avevamo dato un contributo attraverso un documento che affrontava tutte le parti più complesse della questione, della regolamentazione dei decreti sulla parte assicurativa. Sono tre i decreti attuativi sulla parte assicurativa. Rimangono un paio di nodi politici, quindi il Ministro può tranquillamente assumersi la sua responsabilità, scegliere in un modo o nell’altro, sciogliere questi nodi e decretare: darebbe una boccata d’ossigeno a tutto il sistema perché la Legge senza la parte assicurativa è ovviamente in sofferenza».