Il segretario confederale della Cisl sottolinea: «È sempre un’incognita la fase di confronto sul Def perché noi arriviamo da dieci anni di tagli lineari sul sistema sanitario». Poi affronta il problema delle carenze: «Arriveremo al 2022 con 55mila medici in meno e 39mila infermieri in meno, andiamo verso una sanità inanimata»
Il rischio c’è. Il segretario confederale Cisl Ignazio Ganga, ai microfoni di Sanità Informazione, non esclude il taglio dei fondi alla sanità nonostante il governo abbia annunciato un cospicuo aumento nei prossimi anni del fondo sanitario. Nell’esecutivo l’argomento è tabù: tutti negano, il ministro della Salute Giulia Grillo ha persino dichiarato di essere pronta a fare da ‘scudo umano’ per evitare tagli. Ma la legge di Bilancio 2019 parla chiaro: per garantire l’equilibrio dei conti pubblici italiani tra entrate e uscite, l’Iva ordinaria salirà dal 22% al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021 e l’Iva agevolata dal 10% al 13% nel 2020. A meno di non trovare 23 miliardi nel 2020 e 29 miliardi nel 2021. Così, la sanità rischia di tornare nel mirino, rischio acuito dallo slittamento del Patto per la Salute che doveva essere varato entro il 31 marzo. «Sicuramente la nostra è una sanità fortemente definanziata. Il rapporto tra spesa sanitaria e Pil si attesta al 6,4%, mentre l’OMS ha detto che dobbiamo stare sopra il 6,5% per garantire il pieno diritto alla salute», sottolinea Ganga. Il problema è che il nostro Paese «considera la sanità un costo piuttosto che un investimento», aggiunge il sindacalista. Sul tema però i sindacati non intendono abbassare la guardia e sono pronti anche a scendere in piazza: «Sui contratti e sulla garanzia dei diritti inderogabili il sindacato non arretrerà».
Segretario, siete in fase di confronto sul Def, si parla di aumento dell’Iva e di come evitarlo. Ma non è che alla fine si faranno dei tagli alla sanità per evitare l’aumento dell’Iva?
«Il rischio c’è, tenendo presente che sanità e previdenza da tempo sono i due contenitori rispetto ai quali si cerca di compensare la carenza di cassa. Sono i due contenitori che hanno dato il maggior contributo al risanamento del bilancio dello Stato. Per cui è sempre un’incognita la fase di confronto sul Def perché noi arriviamo da dieci anni di tagli lineari sul sistema sanitario e non ci siamo ancora affrancati dal sistema dei tagli perché anche se apparentemente non succede niente non ci sono nuove risorse per la sanità o per lo meno quando se ne discute, quando ci si confronta in tal senso le nuove risorse ci saranno nella misura in cui ci sarà un nuovo Patto per la Salute che ci doveva essere entro il 31 marzo, ancora non c’è e se qualcuno ci sta lavorando non c’è sicuramente la possibilità di dare un contributo come sindacato. Questo è un grosso problema. Sicuramente la nostra è una sanità fortemente definanziata. Se pensiamo al fatto che il rapporto tra spesa sanitaria e Pil si attesta al 6,4% e lo scorso 19 settembre a Roma l’OMS ha detto che dobbiamo stare sopra il 6,5%, pena non garantire pienamente ai cittadini il diritto alla salute. Quindi già questo è un indicatore molto preoccupante. Permangono alcune storture gravi rispetto alle quali noi abbiamo creato una piattaforma articolata unitaria rispetto alla quale vorremmo confrontarci con il ministro competente che parte dal tema del rifinanziamento, si pone il problema di come ovviare alla gabella dei superticket. Abbiamo in sofferenza tutto il sistema sanitario meridionale. Il vero problema è che quando ti confronti in questa fase sul Def prima e sul bilancio dopo il nostro Paese è un Paese che considera la sanità un costo piuttosto che un investimento. Questo è un vero problema perché manca la consapevolezza che il Sistema salute contribuisce alla costruzione di quota parte del Prodotto interno lordo, non è un ‘moloch’ mangia soldi e non è una entità inanimata. Noi è anni che cerchiamo di rinnovare i contratti. I contratti dei medici non siamo riusciti a rinnovarli, quelli del comparto ci siamo riusciti però è già scaduto il contratto e nel bilancio non ci sono le risorse a disposizione. La sanità è fortemente depotenziata per le note carenze delle dotazioni organiche. È un problema grossissimo che si aggiunge al fatto che il provvedimento su quota 100 sta depotenziando ulteriormente le dotazioni organiche. Noi arriveremo al 2022 con 55mila medici in meno e con 39mila infermieri in meno a fronte di questo dato ne mancano già 47mila, ecco che allora una sanità inanimata non potrà sicuramente riuscire a cogliere l’obiettivo di una società in salute che invece era l’obiettivo dell’articolo 32 della Costituzione».
Pronti a scendere in piazza se il governo non vi ascolta?
«Questo tema dei contratti è un tema fondamentale, il tema della garanzia dei diritti inderogabili è un tema su cui il sindacato non arretrerà. I nostri colleghi hanno detto chiaramente che per realizzare quanto l’articolo 32 prevede debba essere realizzato ci vuole una sanità diversa che si caratterizza maggiormente sui professionisti del sistema sanitario, quindi medici e infermieri e quant’altro occorre a far funzionare un modello sanitario che si è fortemente depotenziato negli ultimi anni».