Il punto in occasione della “Giornata nazionale per la sicurezza delle cure e della persona assistita”
Il 17 settembre è la “Giornata nazionale per la sicurezza delle cure e della persona assistita”. E quale momento migliore per fare il punto sui diversi aspetti che riguardano il paziente, il suo rapporto con il professionista sanitario e tutte le politiche e le pratiche messe in atto dalle istituzioni e dalle strutture per mettere quest’ultimo in grado di offrire alla persona assistita il miglior supporto possibile. Dal rischio clinico (argomento particolarmente delicato in questo periodo di emergenza pandemica) al rapporto medico-paziente, dalla formazione del personale sanitario alle assicurazioni, ne abbiamo parlato con l’avvocato Maurizio Hazan (studio legale Taurini & Hazan), tra i maggiori esperti dell’argomento.
«Evidentemente l’emergenza legata alla pandemia ha messo in evidenza alcune difficoltà collegate al fatto che il Covid-19 ha sgretolato regole e certezze. Quindi tutto ciò che è sicurezza è legato anzitutto alla capacità di gestire e prevenire il rischio clinico, che è un po’ la lezione della Legge Gelli, la quale sposta il fuoco della responsabilità risarcitoria alla sanità responsabile, cioè alla gestione preventiva, per consentire ai pazienti di poter fruire della massima sicurezza nel loro percorso di cura. È chiaro che quando la prevenzione, che è l’elemento centrale, non è attuabile o comunque viene superata da emergenze che scardinano le regole, la sicurezza sta semplicemente nella capacità di reagire in tempi rapidi alle nuove sollecitazioni di qualcosa che non si conosce. Questo ovviamente incide sulla responsabilità perché se non puoi prevenire devi cercare di limitare le conseguenze negative facendo del tuo meglio, in attesa che si formi l’esperienza vera e propria».
«Le possibili risposte sono tante. La prima che mi viene in mente, ma che non riguarda solo il Covid, è: come si comunica. Si dice che il tempo di comunicazione è tempo di cura ed è fondamentale trovare il tempo di comunicare bene: a livello politico, professionale, ospedaliero, eccetera. Insomma, la comunicazione è spesso trascurata e molte delle liti nascono proprio da questa crisi. Detto questo, è vero che c’è stata una grossa difficoltà nel riuscire ad accoglierli, i pazienti, prima ancora che a curarli. È banale parlare di crisi del territorio, medicina di prossimità, eccetera. Sono tutte tematiche oggi caldissime, anche se non credo riguardino tematiche di responsabilità sanitaria in senso stretto, ovvero del singolo medico o della struttura. Sono delle responsabilità di sistema, quasi politiche. Bisogna capire se effettivamente tutto quel che è successo oggi sia figlio di politiche forse non totalmente mirate negli anni passati, che è un tema ovviamente molto più complesso. Qui ci stiamo occupando delle responsabilità di medici e strutture, ed è lì che dobbiamo lavorare. Poi è ovvio che per consentire a questi operatori sanitari di aiutarci occorre una struttura politica-organizzativa e amministrativa di fondo che li metta in condizione di lavorare al meglio».
«Certo, la formazione per un professionista è fondamentale. La comunicazione è importante ma prima è necessario sapere cosa comunicare. In un sistema sanitario, e questa è una lezione che la Legge Gelli ci ha dato e che la giurisprudenza ha accolto, rimane una obbligazione di mezzi e non di risultato. Una differenza tecnica e giuridica, questa, che vuol dire “io non devo costruire un muro ma darti il meglio di ciò che posso darti conoscendo le linee guida”. Quindi devo conoscerle, evidentemente sono tenuto ad uno sforzo di perizia e di studio e la formazione in tempo reale in questo è fondamentale. Altrimenti si rischia di non essere neanche in condizione di scegliere e leggere la soluzione corretta. E quando non scegli la soluzione corretta ne rispondi. La formazione è dunque fondamentale ma deve essere efficace, e questo è un tema importante. Certamente la formazione è l’elemento primo di qualsiasi fondante professionale».
«È cambiato poco. È chiaro che la legge Gelli pone un obbligo di assicurazione e punta l’indice sul fatto che per mettere in sicurezza il sistema, nell’interesse dei pazienti e dei medici, è bene mettere dei sostegni assicurativi che tranquillizzino un po’ tutto il governo del sistema. Perché ci sono pochi operatori nel mercato assicurativo? Perché fino a qualche tempo fa il prezzo dei sinistri era enorme e quindi nessuna operazione assicurativa, a condizione di premi accessibili, era in utile, e quindi le compagnie andavano in perdita. Sono poche quelle rimaste, per lo più straniere. Bisogna distinguere l’assicurazione delle strutture sanitarie da quelle dei professionisti, distinguere gli obblighi assicurativi delle strutture per i loro medici rispetto agli obblighi dei liberi professionisti. Sono aspetti che però potrebbero dirsi ancora non del tutto risolti perché manca una parte della normativa assicurativa che sono i decreti attuativi della legge Gelli che aspettiamo ancora».
«Fermo restando che non è che perché ci sono i decreti, allora tutti i players tornano sul mercato, certamente questo sarebbe un incentivo importante. Ma è un segno di inciviltà giuridica che a distanza di quattro anni ancora questi decreti attuativi siano fermi per schermaglie su aspetti che non sono neanche poi così centrali, per quanto mi è dato sapere, sulla tenuta del sistema assicurativo. L’atteggiamento generale successivo alla legge Gelli sembra essere di leggera compressione dei carichi risarcitori, il che vuol dire consentire, forse, alle assicurazioni di funzionare meglio. Del resto, se c’è buona gestione del rischio clinico, se c’è prevenzione, se si verificano meno danni, le assicurazioni possono funzionare. Ed è questo il segreto: riuscire a coinvolgere, gestire e prevenire, dopodiché le assicurazioni avranno più facilità ad entrare nel settore in termini più convenienti anche per loro e per tutti noi».
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