Il Presidente dell’Unione Nazionale Personale Ispettivo Sanitario d’Italia Maurizio Di Giusto sottolinea: «Le Regioni chiedono che si aumentino i controlli del 5-10% ma senza risorse è come tirare la coperta da una parte e scoprire l’altra». E chiede inoltre che si «cambi l’approccio normativo: non basta inasprire le pene, servono misure per detrarre i costi». Oltre 14mila i TdP in Italia
«C’è una carenza atavica di tecnici della prevenzione nei dipartimenti, così è difficile fare una vera prevenzione sui luoghi di lavoro». La denuncia arriva da Maurizio Di Giusto, Presidente UNPISI, Unione Nazionale Personale Ispettivo Sanitario d’Italia, e presidente della Commissione d’Albo dei Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro di Firenze, Arezzo, Prato, Pistoia, Lucca e Massa Carrara. La figura professionale è confluita nel maxi Ordine delle professioni sanitarie TSRM e PSTRP.
Il problema è serio perché non si tratta solo di una sia pur legittima rivendicazione di settore: da questi tecnici dipende la sicurezza sui luoghi di lavoro e gli ultimi dati INAIL parlano di un aumento degli infortuni nel 2019: le denunce di infortunio presentate entro lo scorso mese di dicembre sono state 641.638, 915, in aumento rispetto alle 640.723 del 2018.
«C’è stato recentemente un concorso in Toscana ma è stato fatto perché sono morti sette cinesi nell’incendio di un capannone e allora la regione ha investito in 90 tecnici della prevenzione – sottolinea il Presidente UNPISI -. Non si può andare avanti così: il blocco delle assunzioni e il non rinnovo del turn over fanno sì che le attività di controllo spesso siano attività innescate dalle segnalazioni di infortuni o a seguito di inchieste e più difficilmente conseguenti a una vera e propria attività di vigilanza e controllo. Senza considerare che le regioni, d’altro canto, dicono che bisogna aumentare il numero dei controlli del 5-10% l’anno: ma aumentare il numero dei controlli con le risorse che ci sono è come tirare la coperta da una parte e scoprire l’altra. Va a discapito di quelle che sono le necessità di approfondimento e di indagine».
Oltre a un aumento della forza lavoro per De Giusti servirebbe un diverso approccio normativo al tema della sicurezza sul lavoro: «Gli investimenti dovrebbero essere di tipo strutturale – spiega Di Giusto a Sanità Informazione – Non soltanto normativo. Non basta solo l’inasprimento di pene alle aziende che già oggi sono in difficoltà, ma serve un supporto sotto forma di sgravi fiscali. Ad esempio, per tutte le imprese che investono sulla sicurezza. Il rischio di ricevere una ispezione a fronte degli investimenti che devono fare oggi diventa un rischio di impresa. Invece si dovrebbe poter detrarre: se investo 20mila-30mila euro in una azienda per redigere documenti di valutazione, portare le migliorie, rinnovare le attrezzature o gli ambienti di lavoro, se questo ha un legame con la sicurezza, ci dovrebbe essere la possibilità per le imprese di vederlo come un investimento».
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Sono circa 10mila i Tecnici della Prevenzione iscritti all’Ordine su una stima di popolazione professionale che è di circa 14mila professionisti. Nel pubblico lavorano circa 8500mila persone, comprese le Arpa. «Fortunatamente la professione lavora molto anche nella libera professione e nel sistema delle imprese come dipendenti e come consulenti – spiega Di Giusto -. Questo permette di portare un po’ la cultura della prevenzione in un contesto complesso come la sicurezza sul lavoro». Prosegue anche il percorso di formazione delle Commissioni d’Albo provinciali: su 61 ne sono state nominate 53. Laddove non si è costituita, come prevede la legge, ci sarà l’estratto a sorte tra i professionisti iscritti di quell’ordine che rappresenterà la professione.
Ora una nuova iniezione di tecnici della prevenzione arriva dal Ministero della Salute che ha indetto un concorso per 91 posti da TdP da dislocare nelle sedi periferiche del Ministero. Sul bando però Di Giusto chiede chiarezza perché ci sarebbe un refuso sui requisiti di partecipazione: «Spero ci sia una modifica. Il bando prevede la laurea specialistica invece che la laurea triennale». Secondo una nota diramata dalla FNO TSRM e PSTRP la laurea specialistica segnalata nel bando «non abilitata alla professione specifica essendo un titolo di studio che si riferisce ai professionisti appartenenti all’intera area della prevenzione».
Al di là dei singoli casi, restano rosee le prospettive per la professione che vede un tasso di disoccupazione quasi nullo: «Le prospettive sono ottime a prescindere dall’ultimo concorso del Ministero della Salute e dai concorsi che ci potranno essere – conclude Di Giusto -. Su 14mila tecnici della prevenzione quelli che oggi non lavorano come TdP, a parte i neo laureati, sono colleghi che hanno fatto altre scelte professionali e di vita. Le prospettive sono buone soprattutto con il completamente del processo di regolamentazione della legge 3 del 2018. Si vanno così a definire in maniera più chiara e precisa quelle che sono le competenze e le attività dei professionisti. Quindi c’è una valorizzazione anche dal punto di vista del riconoscimento professionale».
Una parte dei TdP lavora nelle Arpa: il 17 febbraio si è svolto al Ministero della Salute il primo tavolo per affrontare le problematiche di questi lavoratori con UNPISI, le Federazioni nazionali degli ordini dei Chimici e dei Biologi ed Assoarpa. Tra i nodi da sciogliere l’obbligo per i professionisti sanitari previsto dalla legge 3 di iscrizione ai rispettivi ordini professionali e uno schema con le competenze specifiche dei TdP Arpa.
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