Lavoro e Professioni 30 Agosto 2019 08:04

«Io, specializzanda, vi racconto la mia esperienza in ospedale»

Ilaria Melara, al terzo anno della Scuola di specializzazione emergenza urgenza di Pavia e membro del direttivo CosMEU: «No agli specializzandi tappabuchi o di serie B. Chi è al quarto o quinto anno potrebbe lavorare in PS in orari extra-formativi e seguire i codici bianchi»

di Federica Bosco

Far lavorare gli specializzandi in ospedale? Non è una novità, purché non diventino dei tappabuchi e non si comprometta il loro percorso formativo. A raccontarci la sua esperienza sul campo è Ilaria Melara, al terzo anno della Scuola di specializzazione emergenza urgenza di Pavia e membro del direttivo di CosMEU (Coordinamento specializzandi di Medicina d’Emergenza Urgenza): «Oggi ci sono ospedali convenzionati con le scuole di specializzazione in cui gli specializzandi fanno delle turnazioni in base al piano formativo della scuola. In particolare, nel mio caso vado a Vigevano in sala operatoria e rianimazione per acquisire skills e fare pratica – ammette – sempre sotto il tutoraggio dello strutturato. Di fatto quindi come in tutte le scuole di specializzazione facciamo sia lavoro che formazione».

All’indomani della decisione della Regione Lombardia di impiegare in corsia specializzandi del quarto e del quinto anno e la delibera del Veneto con cui si pescano risorse tra i neolaureati in Medicina, i neo-medici sono sempre di più nell’occhio del ciclone e rappresentano una delle soluzioni più gettonate per far fronte alla carenza di personale. Per rimanere nell’ambito dell’emergenza urgenza, si calcola che nei prossimi cinque anni saranno 4200 i medici mancanti nello scacchiere dei Pronto soccorso italiani. Ed è proprio il CosMEU a lanciare il grido d’allarme.

Lo soluzioni adottate da Lombardia e Veneto sono quindi due strade che, se da un lato andrebbero a risolvere in parte il grave problema della carenza di camici bianchi, dall’altra rischierebbero di generare una classe di medici “low cost”, ovvero destinati ad andare sul campo senza una formazione adeguata.

«Siamo un pochino scettici – commenta la dottoressa Melara – perché il rischio di diventare dei tappabuchi è molto alto. L’ultimo anno per noi infatti è fondamentale perché è formativo, quindi dovrebbe servire allo specializzando per completare le rotazioni nelle strutture previste dal piano formativo, preparare la tesi e svolgere periodi all’estero. Il nostro timore è che queste attività formative vengano sacrificate per coprire i turni in reparto o nei Pronto soccorso dove manca il personale».

«La seconda criticità che evidenziamo – aggiunge – è legata all’assunzione dello specializzando. Siamo sicuri che le strutture presso cui andrebbe a lavorare negli ultimi due anni di specializzazione sarebbero poi in grado di garantire una formazione adeguata a una futura assunzione? È vero che ognuno poi progressivamente debba assumere una responsabilità maggiore, ma ciò non significa essere totalmente abbandonati senza seguire un piano formativo. Capiamo la crisi, soprattutto in Pronto soccorso, in rianimazione e nelle chirurgie, ma occorre tenere conto che noi saremo gli specialisti di domani, quindi lesinare sulla qualità della formazione per puntare sulla quantità potrebbe essere controproducente».

Seconda la specializzanda, quindi, «sicuramente la soluzione non è creare un canale formativo di serie B come stanno facendo la Toscana e il Veneto (90 ore e qualche mese di tirocinio a fronte di scuole di specializzazione di 4 o 5 anni)». Una strada, a suo dire, «dannosa», perché chi la percorrerà sarà «destinato a rimanere precario, considerato che al Sistema sanitario nazionale si accede con la specializzazione».

Il CosMEU ha quindi elaborato una serie di soluzioni a breve e lungo termine che andrebbero: «Gli specializzandi del quarto e quinto anno della scuola di specializzazione – spiega Ilaria Melara – potrebbero svolgere attività intramuraria nel periodo extra-formativo per seguire i codici bianchi del Pronto soccorso, ovviamente a gettone. In questo modo il Pronto soccorso potrebbe ricorrere a degli specializzandi di medicina d’urgenza e di specialità affini, come medicina interna, geriatria o cardiologia, con prestazioni limitate in orari extra formativi».

«Nel lungo termine – prosegue – sarebbe opportuno aumentare le borse nazionali e regionali per le scuole di emergenza urgenza, ma anche per anestesia e chirurgia. E questo vorrebbe dire almeno 800 contratti all’anno in più. Poi sarebbe opportuno rendere più appetibile il lavoro di chi sta in Pronto soccorso, riconoscendolo come usurante, permettendo di fare carriera universitaria, dando un riconoscimento economico a chi fa turni pesanti, (12 ore, 4 o 5 notti al mese, festivi etc.). Infine, sulla medicina generale occorre fare una riforma per cui chi lavora come medico di base riesca ad avere gli strumenti per fare da filtro. Infatti, oggi la maggior parte degli accessi in PS sono di codici bianchi che potrebbero essere gestiti in via ambulatoriale, senza urgenza. Ma questo sarebbe fattibile solo se il medico avesse gli strumenti per poter prestare il servizio».

LEGGI ANCHE: VENETO, SCONTRO BURIONI-ZAIA SU NEOLAUREATI IN CORSIA. A SETTEMBRE PROPOSTA STRONG SU CARENZA MEDICI

Il documento redatto da CosMEU prevede:

Soluzioni a breve termine
1. Attivare i concorsi a tempo indeterminato per gli specialisti e per gli specializzandi all’ultimo anno, recependo appieno i commi 547 e 548 recentemente approvati in Legge di Bilancio 2019;
2. Eliminare immediatamente la possibilità di un canale formativo parallelo non standardizzato che porterebbe alla creazione di un medico di Emergenza-Urgenza di serie B con le stesse responsabilità, ma meno tutele per medici e pazienti e che condannerebbe alla precarietà i Colleghi che lo scelgono;
3. Valutare l’estensione dell’attività intramuraria, attualmente garantita per legge anche agli specializzandi, in alcuni specifici ambiti dell’emergenza urgenza (ad esempio gestione dei codici minori) o permettere agli specializzandi dell’ultimo anno di fornire prestazioni limitate e adeguatamente retribuite extra orario formativo, con vincoli tali da non inficiare la qualità della formazione, in analogia a quanto avviene per le sostituzioni di guardia medica e dei medici di medicina generale.

Possibili soluzioni sul lungo periodo:

1. Aumentare le borse ministeriali e regionali in Medicina d’Emergenza-Urgenza fino al massimo consentito dalla rete formativa per raggiungere gli 800 contratti annuali;
2. Riconoscere al lavoro di Medico ed Infermiere d’Emergenza-Urgenza lo status di lavori usuranti;
3. Incrementare lo stipendio per il personale medico ed infermieristico dei Pronto Soccorso;
4. Incrementare l’efficienza del filtro territoriale ed aumentare i posti di degenza presso i reparti ospedalieri;
5. Elaborare una carriera universitaria specifica per la Medicina d’Emergenza Urgenza.

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