Diletta Duranti di CIMO Lab racconta la sua storia: «Ho provato a formarmi al meglio, ma sono sempre stata svantaggiata»
È la generazione di medici che ha dovuto fare i conti con l’imbuto formativo, il blocco del turnover, il precariato, la carenza di personale, i turni impossibili e la ‘medicina amministrata’. Dagli Stati generali del giovane medico, svoltosi oggi a Roma, lanciano un grido di allarme: le cose così non vanno, bisogna cambiare.
Sul palco si susseguono gli interventi dei rappresentanti di diverse associazioni e sindacati medici come Cimo, Anaao giovani, Sigm, Fimmg, Federspecializzandi, Chi si cura di te, Als, Smi e Snami. Ad ascoltare, la FNOMCeO, che ha organizzato la giornata, e i colleghi più grandi, «venuti per cercare di capire le esigenze dei colleghi», come dichiara a Sanità Informazione il presidente di CIMO Guido Quici. «La cosa più importante ora – prosegue – è vedere cosa dicono i colleghi e capire quale visione hanno le altre organizzazioni sindacali per poter poi trarre le conclusioni. Ma una cosa è certa: noi di CIMO spingeremo molto sul certificato curriculare del singolo, che elenchi le sue attività, le sue competenze e le sue conoscenze, perché se un collega è bravo deve potere dimostrarlo ed entrare facilmente nel mondo del lavoro. Ma non abbiamo volutamente portato una proposta strutturata, che presenteremo a novembre agli stati generali conclusivi e a cui la nostra sezione dedicata ai giovani, CIMO Lab, sta già lavorando».
A portare la voce di CIMO Lab agli Stati generali del giovane medico è Diletta Duranti, che ha scelto di raccontare la sua esperienza personale: «Mi sono laureata nel 2009 a Firenze e sognavo di diventare un medico legale – spiega ai nostri microfoni -. All’epoca il concorso per accedere alla scuola di specializzazione era ancora interno, e per una serie di combinazioni il primo anno non sono riuscita ad entrare. Ho quindi iniziato a lavorare da volontaria in ospedale, a Medicina legale, e dopo un anno mi hanno offerto una collaborazione esterna che ho portato avanti per tre anni nella mia città, ad Arezzo. Nel frattempo mi ero però allontanata dal contesto universitario, quando i concorsi per le specialità erano ancora interni, quindi ho cercato contatti con l’università di Modena che mi ha accolto subito. Ma proprio in quell’anno è arrivato il concorso nazionale e sono cambiate completamente le logiche di ingresso, particolarmente svantaggianti per la mia situazione».
«Sono comunque riuscita ad entrare – continua la dottoressa Duranti – ma a Patologia clinica, non a Medicina legale. Ora sono al quarto anno e ho avuto un percorso totalmente disomogeneo. Ho fatto di tutto per formarmi al meglio e rivendermi sul mercato del lavoro, ma sono stata osteggiata in tutti i modi possibili, cambiandomi le carte in tavola all’ultimo momento. Ho dovuto subire le logiche del sistema a discapito della mia formazione e della mia soddisfazione».
Quando infine le chiediamo della proposta di richiamare in servizio i medici pensionati, Diletta Duranti scoppia a ridere: «La trovo una cosa ridicola. Se si intende assumere delle figure di riferimento che possano formare e aiutare i giovani medici ha un senso, ma se deve diventare una scusa per non erogare nuovi contratti e non prendersi la responsabilità di inserire le nuove leve sul lavoro, allora è qualcosa di totalmente inutile».