VIDEO INTERVISTA | L’ormai ex presidente dell’Agenzia del Farmaco a qualche giorno di distanza dalla sua irrevocabile lettera di addio ad una delle cariche più prestigiose e ambite della sanità italiana ha ritrovato il filo dei pensieri e accetta di parlare della sua esperienza in AIFA e delle prospettive dell’agenzia e della scelta delle dimissioni come di una pagina dolorosa da superare in fretta per tornare a dedicarsi alla ricerca.
Dottor Vella, perché si è arrabbiato tanto al punto da dimettersi dall’Aifa?
«Mi sono arrabbiato soprattutto perché la questione salute e migranti è un argomento di cui mi occupo da sempre e che mi sta particolarmente a cuore. Io mi occupo di salute del mondo quindi di tutte le persone fragili, e non solo. Ma non stiamo parlando solo di Africa, parliamo anche di Italia e di Europa. La salute globale è questa: fare ricerca per lottare contro le diseguaglianze. Questa della Diciotti mi è parsa come una vera diseguaglianza. Non far sbarcare queste persone sicuramente sofferenti, come ho detto, non mi è sembrato giusto e mi ha fatto arrabbiare…».
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L’ormai ex presidente dell’Agenzia del Farmaco a qualche giorno di distanza dalla sua irrevocabile lettera di addio ad una delle cariche più prestigiose e ambite della sanità italiana ha ritrovato il filo dei pensieri e accetta di parlare di quella scelta come di una pagina dolorosa da superare in fretta per tornare a dedicarsi alla ricerca e ai tanti progetti del Centro per la Salute globale dell’Istituto superiore di sanità. Nella lunga chiacchierata affrontiamo la sua esperienza in Aifa e le prospettive dell’Agenzia del Farmaco alla luce dell’indicazione del nuovo direttore generale Luca Li Bassi, ma prima ripartiamo dal tema migranti.
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«Su quella nave dicono ‘nessuno è morto’, direi menomale. Ma non è che noi medici dobbiamo aspettare che il paziente stia per morire, lo curiamo perché facciamo un giuramento che dice che chiunque arrivi sul nostro territorio, va assistito. Mi sono arrabbiato perché la questione migranti è nel mio cuore, ma anche perché avere cura della salute del mondo riguarda anche noi, riguarda la salute di tutti. Non è vero che i migranti sono pericolosi perché portano le malattie, sicuramente in condizioni di ammassamento e povertà, i virus sono più forti ed è proprio per questo che io penso che sia necessario curare il mondo oltre i migranti, bisogna andare a curare nei paesi da dove partono queste persone. Certo, lì ci vuole un sacco di tempo per sistemare la situazione fino ad arrivare al punto in cui nessuno avrà più voglia più partire. Molti dicono questa frase ‘curiamoli a casa loro’, certo anche a casa loro, ma una volta che sono partiti bisogna assisterli a prescindere da dove siano”.
Ma non ritiene che l’Europa, e alcuni Paesi in particolare, potrebbero fare di più sulla gestione della prima accoglienza dando un aiuto più fattivo all’Italia?
«Non c’è dubbio, io penso che il trattato di Dublino vada cambiato. Come è possibile che un Paese che geograficamente ha così tante coste poi deve accogliere tutte queste persone completamente solo? A parte che non è vero che in Italia ci sia stata un’affluenza così massiccia, tuttavia è sicuramente vero che questi immigrati sono partiti in condizioni gravi dovute a denutrizione, maltrattamento e violenza e noi non possiamo fare finta di niente. Poi, certo, il nostro Ministero della Salute si è dato da fare per trovare una soluzione, infatti con il mio gesto non volevo attaccare il Ministero, ma la politica in generale. Detto questo, ci tengo anche a sottolineare che io non faccio il politico ma sono medico e ricercatore e non ho fatto questo gesto per ‘fare politica’. Ci tengo anche a dire che ho ricevuto molta solidarietà da colleghi italiani e stranieri, che hanno apprezzato il tipo di gesto. Lo dico perché molti, pur non essendo d’accordo con la sostanza delle mie osservazioni, hanno apprezzato l’azione coerente con le parole, perché se si dice una cosa e si sostiene una posizione penso sia giusto fare un gesto conseguente. Perché qui altrimenti ‘so boni tutti’ a chiacchierare ma se poi non ci metti la faccia che senso ha? Se affermi un principio poi è giusto fare un sacrificio per avvalorarlo».
Lei lascia l’incarico ad Aifa, che è tra i più ambiti nel mondo istituzionale medico italiano. Ora che succede all’Agenzia del Farmaco?
«Certo mi dispiace tanto perché all’Aifa ho lavorato molto bene, tra l’altro avevo un posto in prima fila in un momento in cui stanno arrivando dei farmaci straordinari che salveranno la vita alle persone, anche su quel fronte ci sarà un problema su cui lavorare: l’accesso a questi farmaci attualmente è scarsissimo visto il costo elevato. Ma proprio perché abbiamo un sistema universalistico è giusto che arrivino a tutti, bisogna lavorare sui prezzi, bisogna parlarne. Finora, da quello che ho visto, il governo sta facendo quello che noi avevamo chiesto da tanto tempo, cioè riparlare della governance del farmaco, bisogna che ci sediamo tutti e ne parliamo: come andiamo avanti? Se i prezzi non sono tollerabili non c’è accesso e l’industria deve rientrare dei suoi investimenti, come fare? Serve una quadra, io spero che questo venga fatto. A parte questo aspetto mi rallegro dei risultati della ricerca, stanno arrivando farmaci che migliorano la qualità della vita e a volte la salvano. Io ho lavorato sull’Aids in passato, ad un certo punto da malattia mortale si è trasformata, grazie alla ricerca, in una patologia con cui si può vivere e non si muore più, perlomeno in Europa. Ricordiamoci che abbiamo portato farmaci anche nel sud del mondo, ed è stata una cosa fantastica. Questo gesto, sebbene sia stato improvviso, era prevedibile perché è semplicemente il frutto della mia storia».
Ecco parliamo di Aifa: qual è il bilancio di questa esperienza? Citavamo i farmaci innovativi, anche la questione vaccini, come è stata osservata da quell’osservatorio privilegiato?
«Sui vaccini l’Aifa deve approvarne l’uso, ma quello è semplice perché sono sempre stati testati in modo accurato. Poi si deve stabilirne il prezzo. Lo abbiamo anche fatto abbassare perché, adesso, essendo obbligatori, il prezzo è giusto che cali, deve calare. Altro compito dell’Aifa è vigilare sugli effetti collaterali, i risultati di questo controllo vengono pubblicati su un rapporto annuale che mandiamo in Europa perché c’è tutta una rete di farmaco vigilanza che monitora. Insomma l’Aifa fa tantissime cose, anche cose che non fanno altre Agenzie, come la ricerca indipendente per esempio oppure raccogliere i fondi per i farmaci innovativi e molto altro. Diciamo che fa tante cose rispetto a quante persone ha, perché, purtroppo, è sotto dimensionata. Però adesso ci sono i nuovi concorsi, stanno arrivando altre 200 persone, speriamo sia un valore aggiunto».
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Per concludere, ritorno alla sua famiglia, alla sua casa che è l’ISS, quali sono i progetti da portare avanti? Tra le tante iniziative ci sono anche i corsi di formazione per i medici sul tema, rieccolo, delle migrazioni.
«Questo discorso della formazione è essenziale. Noi abbiamo un progetto con OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) con cui stiamo organizzando dei corsi addirittura a livello europeo. Poi certo con Sanità di Frontiera la formazione la faremo ‘nei vari porti’ perché è importante che il medico sappia cosa fare al momento dello sbarco di migranti. Poi abbiamo lavorato con l’Istituto Nazionale delle Immigrazioni e abbiamo fatto le Linee guida per la cura della popolazione dei migranti e sono Linee guida che spiegano cosa i medici devono fare per la loro cura e per la cura della popolazione italiana. Abbiamo fatto delle Linee guida per la tubercolosi, una delle grandi paure degli italiani e degli europei è proprio che i flussi migratori riportino la tubercolosi nei nostri territori. Probabilmente c’è il rischio che queste persone abbiano la tubercolosi in incubazione, ma in realtà quasi tutti noi abbiamo avuto contatti con questa malattia e quindi abbiamo dentro il bacillo, quando poi vivi in condizioni di sovraffollamento, questo batterio può risvegliarsi, noi non dobbiamo dargli la possibilità di farlo. Poi l’Iss ha progetti in corso e in prospettiva in tanti paesi come l’Africa per esempio, attività coerente con il famoso discorso ‘di andare a curarli a casa loro’. Ci sono in corso progetti di cooperazione internazionale, poi abbiamo anche progetti di ricerca di base, ci occupiamo di vaccini innovativi, ci occupiamo di sistemi sanitari o di progetti che coordiniamo come Istituto sul miglioramento e sulla sostenibilità dei sistemi sanitari europei, abbiamo un grandissimo progetto che coordiniamo con più di 29 partner e 18 nazioni. Certo ci sono tante altre cose che andranno fatte, il Sistema sanitario italiano è ancora uno dei pochi veri universalistici, gli altri stanno crollando perché non sono sostenibili, ma ritengo sia fondamentale riorganizzare, migliorare e risolvere le criticità. La ricerca e le best practice possono aiutare, vediamo se si possono applicare. Ricordiamo sempre che il nostro Sistema sanitario si chiama ‘universal health coverage’, cioè copertura sanitaria per chiunque che vive su questa terra e che dovrebbe avere l’accesso garantito al minimo dei servizi sanitari».