Lavoro e Professioni 8 Settembre 2020 17:45

Stipendi, responsabilità professionale, investimenti: ecco il Piano Marshall di Anaao. Palermo: «Le risorse sono a portata di mano»

Il segretario di Anaao spiega a Sanità Informazione quali sono le principali proposte per risollevare ruolo e status di medici e dirigenti sanitari: «Bene l’interesse verso il territorio ma non dimentichiamo gli ospedali. Con il MES avremmo 5 miliardi al mese da spendere in sanità»

Stipendi, responsabilità professionale, investimenti: ecco il Piano Marshall di Anaao. Palermo: «Le risorse sono a portata di mano»

Sette punti per attuare una rivoluzione copernicana in sanità: migliorare le condizioni del lavoro ospedaliero e ricostruire un sistema che privilegi, anche per la carriera, i valori professionali rispetto a quelli organizzativi e aziendali; aumentare le retribuzioni, detassando gli incrementi contrattuali e il salario accessorio, compensando il rischio contagio, incrementando il valore del rapporto esclusivo; attribuire un nuovo stato giuridico alla dirigenza sanitaria, nel segno della dirigenza “speciale”, e riconoscere il loro ruolo peculiare attraverso forme di partecipazione ai modelli organizzativi ed operativi; introdurre il contratto di formazione/lavoro per gli specializzandi e riformare la formazione post-laurea, divenuta vera emergenza nazionale; attuare politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, che escludano il precariato e riducano la eterogeneità nei rapporti di lavoro ospedaliero; completare la legge sulla responsabilità professionale con il passaggio ad un sistema “no fault” sul modello europeo; assumere il contratto di lavoro come strumento di innovazione del sistema e di governo partecipato. Un vero e proprio Piano Marshall quello messo a punto dal sindacato Anaao-Assomed. Ne abbiamo parlato con il Segretario, Carlo Palermo.

Segretario Palermo, ci parli di queste proposte.

«Stiamo cercando di allargare la visione politica generale sul tema con le nostre proposte, che vanno ad aggiungersi a quelle che sono già state avanzate. Non vorrei che tutto il discorso, alla fine, si risolvesse semplicemente in una soluzione, certamente giusta, che riguarda solo il territorio e che ci si dimentichi del versante ospedaliero. Anche questo, ovviamente, ha le sue problematiche, che noi abbiamo cercato di delineare in una serie di punti che abbiamo inviato anche al Ministero della Salute. Siamo in attesa di valutazioni e speriamo in una convocazione che riguardi anche tutti gli altri sindacati. Se c’è un tavolo per la Medicina Generale, verosimilmente dovrebbe esserci anche un tavolo per gli operatori dipendenti del Ssn».

Dopo i mesi più difficili dell’emergenza Covid speravate in un atteggiamento diverso nei confronti degli operatori sanitari?

«La nostra impressione è che non ci sia ancora un discorso globale. Va bene tutto quel che bisogna fare sul territorio perché è evidente che il territorio è stato fallimentare per quanto riguarda la questione Covid: l’Italia si è salvata grazie alle strutture ospedaliere. Nello stesso tempo, però, l’emergenza ha messo in evidenza quelli che sono i problemi della rete ospedaliera in Italia, a cominciare dai posti letto, in particolare nel Sud. Insomma, non esiste soltanto il problema del territorio, ma anche una questione relativa alla rete ospedaliera. Poi ci sono alcuni problemi di fondo: lo stato giuridico dei medici; una dirigenza che è troppo confusa con quella amministrativa quando invece meriterebbe una sua specifica legislazione speciale; abbiamo problemi sulla governance delle aziende dove gli elementi amministrativi-gestionali hanno troppo peso e invece c’è poca rappresentanza nelle strutture di elementi più professionali; esiste la questione della formazione post-laurea, degli specializzandi; c’è anche una questione economica: si parla di incrementare gli stipendi, e ovviamente va bene, ma come? Insomma, è un discorso molto articolato che non vorremmo passasse in secondo piano rispetto ad altre tematiche. Io penso che territorio e ospedali debbano viaggiare insieme».

Ci sono le risorse per finanziare tutti questi punti?

«Le risorse sono lì, basta decidere di prenderle. Ci sono 5 miliardi al mese fino a 36 miliardi che sono le risorse del MES. Sono risorse immediatamente disponibili. L’acquisto di tamponi, dei reagenti e delle macchine per processarli, le tac, le ristrutturazioni degli ospedali, tutto questo serve ora e servono risorse immediatamente disponibili. Non possiamo aspettare il Recovery Fund che arriverà, se va bene, nella seconda metà del 2021. Capisco che ci siano ritrosie ideologiche e paure su conseguenze finanziarie, ma dobbiamo capire che le condizionalità che ci sono ora sul MES sono solo sanitarie, e io dico meno male che ci sono queste condizionalità esclusivamente sanitarie. Cosa vogliamo di più? Abbiamo soldi a disposizione a tassi ridicoli: per dare un’idea, sui mercati l’Italia si finanzia a tassi dell’1,3-1,4%. I tassi del MES invece sono allo 0,08% e se un Paese restituisce i soldi in 7 anni addirittura il tasso è negativo. Insomma, prendiamo 35 miliardi e ne restituiamo qualcosa in meno. Cosa stiamo aspettando?».

Un punto interessante che avete inserito nelle vostre proposte riguarda la responsabilità professionale. Leggiamo che bisogna fare un passaggio ad un sistema “no fault” sul modello europeo. Cosa significa?

«In Italia siamo ancora ancorati al concetto di colpa. Il sistema “no fault” significa: “Nessuna vergogna, nessuna colpa”. Dobbiamo passare dal nostro modello a quello che è sviluppato specialmente nell’Europa del Nord. Qui l’eventuale colpa viene discussa con processi di audit al solo fine di non far più verificare l’evento. Quindi non si va sul penale o sul civile ma si dà vita ad un processo che assume l’errore come problematica insita in una professione difficile come quella sanitaria. E dunque si discute e si mettono in atto le procedure per evitare l’ulteriore manifestarsi dell’errore. Tutto ciò non si accompagna ad una penalizzazione del professionista ma a meccanismi di risarcimento del danno eventualmente subito. Questo è il cambio di paradigma che ci vuole».

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