L’indirizzo, ideato dal liceo Leonardo Da Vinci di Reggio Calabria, da settembre sarà replicato in cento licei scientifici e classici. Delle 150 ore del triennio dedicate alla formazione biomedica, 60 sono gestite da medici. Ce ne ha parlato la dirigente scolastica del liceo capofila Giuseppina Princi
Fino a qualche anno fa, chi voleva diventare un medico iniziava a pensarci all’ultimo anno di superiori. Adesso, invece, i primi mattoni della strada che porterà ad indossare il camice bianco possono essere posati ben prima. Esiste infatti il liceo ad indirizzo “biologia con curvatura biomedica”. È stato ideato e sperimentato otto anni fa dal liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Reggio Calabria insieme all’OMCeO provinciale. E il successo del percorso, del numero di iscrizioni e, soprattutto, i risultati degli studenti che sono riusciti ad entrare a medicina hanno acceso i riflettori su un indirizzo che, grazie ad un protocollo firmato dal Ministero dell’Istruzione e dalla FNOMCeO (Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri), dallo scorso anno è stato istituzionalizzato su scala nazionale in 27 licei scientifici. E da settembre le scuole che offriranno l’indirizzo saranno cento: non solo licei scientifici, ma anche classici, riuniti in una rete di cui il Da Vinci è capofila. Non è escluso, inoltre, che nel prossimo futuro coloro che frequenteranno questo percorso avranno una corsia preferenziale o un punteggio particolare ai fini dell’accesso alle facoltà scientifiche a numero chiuso.
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Come ci ha raccontato la dirigente scolastica del liceo di Reggio Calabria Giuseppina Princi, i risultati ottenuti dalla sperimentazione del Da Vinci sono molto indicativi: il 98% dei diplomati che ha tentato il test di ingresso è riuscito a superarlo senza alcun tipo di preparazione ulteriore; ma il 40% degli studenti si è ritirato dal percorso stesso, perché ha capito di non essere tagliato per fare il medico. Magari perché si è reso conto che il sangue gli fa impressione, per esempio. L’indirizzo biomedico quindi da un lato prepara, gratuitamente, al test d’ingresso, e dall’altro funge da orientamento e da filtro, e potrebbe quindi rappresentare una possibile risposta al numero eccessivo di studenti che ogni settembre si cimenta nel fatidico test.
Un test in cui la sola preparazione teorica, seppur solida, può non essere sufficiente: è fondamentale anche sapere come affrontare la reazione più comune dei neodiplomati quando si trovano davanti alle 45 domande cui rispondere in un’ora e mezza: il panico. Ecco perché agli studenti che frequentano questo indirizzo ogni due mesi viene somministrato sin dal terzo anno un test strutturato proprio come quello d’ingresso, che consente non solo di verificare la comprensione degli argomenti studiati, ma insegna anche a gestire il tempo e l’ansia da prestazione.
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«È emerso – spiega la dottoressa Princi a Sanità Informazione – che nel primo test somministrato il 65% degli studenti ha riportato una valutazione inferiore o uguale alla sufficienza; ma questa percentuale, dal secondo test in poi, è scesa al 38%, mentre il 62% dei ragazzi ha totalizzato punteggi superiori alla sufficienza. Se all’inizio tutti hanno avuto difficoltà ad affrontare un metodo nuovo, con l’esperienza sono riusciti a mantenere una tendenza positiva costante».
Ma come si articola il percorso formativo? «Per ogni anno del triennio – prosegue la dirigente scolastica – 50 ore sono dedicate alla formazione biomedica: 20 ore sono affidate ai docenti di scienze del liceo che forniscono la base teorica; altre 20 ore sono gestite dai medici indicati dagli OMCeO che curano la parte più pratica ed esperienziale; infine, 10 ore vengono svolte presso strutture laboratoriali esterne, reparti ospedalieri o centri trasfusionali, dove si mette in pratica quello che si è imparato in classe».
Un percorso che «aiuta i ragazzi ad effettuare delle scelte consapevoli, sia universitarie che professionali». Anche grazie al fondamentale contributo dei 323 medici coinvolti, che presto avranno facoltà di richiedere gli ECM per le ore di docenza svolte: «Erano molto contenti di poter aiutare i ragazzi. C’è un entusiasmo dilagante. E prima che l’indirizzo fosse disponibile a livello nazionale, i genitori ci chiamavano da tutta Italia, intasando la nostra segreteria, e dicendoci che sarebbero stati disponibili anche a trasferirsi qui a Reggio Calabria per poter iscrivere i propri figli a questo percorso», racconta sorridendo la dottoressa Princi.
«È bello – conclude – che per una volta sia il sud a fare scuola al resto d’Italia. Il Paese sta camminando insieme e siamo proprio noi i portavoce di questo cambiamento».
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