La salute arriva tra i banchi di scuola, il ministro: «Di recente approvazione, in concerto con il Miur, un documento sugli indirizzi di policy integrate per gli istituiti scolastici che promuovono la salute».
Se chiedete ad un giovane come immagina il suo futuro affettivo, in 8 casi su 10, vi risponderà “a crescere uno o più figli”. Un desiderio destinato, purtroppo, a dimezzarsi in età adulta, quando la spensieratezza adolescenziale lascerà spazio a problemi economici e di coppia, infertilità compresa. È solo un piccolo frame dello “Studio Nazionale Fertilità”, fotografia scattata dal ministero della Salute per raccogliere informazioni sulla sfera sessuale e riproduttiva degli italiani. L’indagine, conclusasi alla fine del 2018, ha passato al setaccio conoscenze e comportamenti sia della popolazione potenzialmente fertile, come adolescenti, studenti universitari e adulti in età riproduttiva, che professionisti sanitari, tra cui pediatri di libera scelta, medici di medicina generale, ginecologi, andrologi, endocrinologi, urologi e ostetriche. Il coordinamento dello studio è stato affidato all’Istituto Superiore di Sanità ed hanno partecipato, come unità operative, l’università la Sapienza di Roma, l’ospedale Evangelico Internazionale di Genova e l’università di Bologna.
In particolare, per tracciare il profilo dell’età adolescenziale è stato coinvolto un campione complessivo di più di 16 mila studenti tra i 16 ei 17 anni, di 482 scuole distribuite su tutto il territorio nazionale. «Tra tutti i dati emersi – ha detto il ministro della Salute Giulia Grillo – , ce ne sono alcuni che mi hanno particolarmente colpita. La maggior parte dei ragazzi cerca le informazioni in ambito sessuale e riproduttivo su internet e solo uno su 4 chiede consiglio in famiglia. Ovviamente – ha aggiunto il ministro pur non essendo possibile affidare solamente alla rete la diffusione delle informazioni, mi piacerebbe lavorare in questa direzione. Vorrei creare un database di notizie verificate, adatto sia ai giovani che agli adulti, considerando che ormai tutti utilizziamo internet per informarci».
E chissà che non sia proprio merito della rete se, in alcuni ambiti, la conoscenza è nettamente migliorata rispetto agli anni passati. I giovani hanno una maggiore consapevolezza sui fattori di rischio e sulle infezioni e malattie a trasmissione sessuale come l’epatite virale, la sifilide, la gonorrea, il papilloma virus o la clamidia. I consultori, invece, restano dei luoghi sconosciuti, o quasi, frequentati dal 3% dei ragazzi e dal 7% delle adolescenti. Tra i metodi contraccettivi il preservativo e la pillola sono i più conosciuti, ma il 10% non fa uso di alcuna precauzione. Ma su una cosa sono tutti d’accordo: certi argomenti, per il 94% di coloro che hanno partecipato alla ricerca, dovrebbero essere affrontati tra i banchi di scuola. Ed proprio in risposta a questa esigenza che il ministero della Salute, in concerto con il Miur, ha messo a punto un documento sugli “indirizzi di policy integrate per la scuola che promuove la salute”. «Credo che l’insegnamento nelle scuole su tematiche legate alla sessualità riproduttiva – ha spiegato il ministro Grillo – possa fornire un punto fermo di informazioni certe e verificate. Speriamo che da questo protocollo d’intesa con il Miur nasca la strada per insegnare la salute nelle scuole e che da lì, poi, si possa dedicare un intero capitolo alla sfera della riproduzione».
Lo “Studio Nazionale Fertilità” ha coinvolto anche 20 mila individui in età fertile, tra 18 e i 49 anni. Utilizzando il sistema PASSI (un progetto del ministero della Salute e delle Regioni/P.A. nato per monitorare i fattori comportamentali di rischio e i programmi di prevenzione delle malattie croniche, ndr) è stato possibile raccogliere, per la prima volta, dati nazionali sulla propensione alla riproduzione, sulla conoscenza della fisiologia della fertilità e sull’eventuale accesso ai servizi sanitari in tema di fertilità nella popolazione adulta italiana. Argomenti sui quali la maggior parte degli italiani dovrebbe prendere ripetizioni: solo il 5% è consapevole che le possibilità biologiche per una donna di avere figli iniziano a ridursi già dopo i 30 anni. E che l’età giochi un ruolo importante anche per la fertilità maschile è un fatto ignorato dall’87% degli intervistati.
Molto più preparati su queste tematiche medici e professionisti sanitari, anche se non specialisti della materia. Qualche lacuna da colmare per i pediatri di libera scelta sull’importanza delle vaccinazioni per preservare la capacità riproduttiva o sui rischi collegati ad obesità ed eccessiva magrezza. I medici di medicina generale, invece, hanno necessità di una maggiore formazione sull’importanza di prescrivere acido folico a tutte le donne che manifestano un desiderio di gravidanza e sulle tempistiche per avviare i pazienti ad esami sull’infertilità. Quasi tutti promossi gli specialisti. Interpellati ginecologi, andrologi, urologi e endocrinologi: 3 professionisti su 4 hanno risposto correttamente alle domande. Persistono alcuni errori di prescrizioni, come terapie per l’infertilità maschile o pratiche chirurgiche femminili ritenute inappropriate dalle più recenti linee guida. È generalizzato, infine, un eccessivo ottimismo sulla possibilità offerte dalla Procreazione medicalmente assistita, con il rischio di provocare inutili aspettative in quelle coppie la cui infertilità non può essere risolta.