Il Presidente della Commissione d’Albo nazionale dei Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro commenta l’aumento degli infortuni e i fatti che hanno funestato l’estate: «Morti bianche dovute non solo a carenze organizzative e di processo, ma anche culturali e formative, e, non di meno, da carenze strutturali dovute agli impianti normativi»
Mancano all’appello circa 1400 tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro. Parola di Maurizio Di Giusto, presidente della Commissione d’Albo nazionale dei TPALL (questa la sigla) che in un’intervista a Sanità Informazione sottolinea la cronica carenza di organico di questi professionisti che dal 2018 fanno parte della Federazione delle professioni sanitarie TSRM PSTRP.
Eppure hanno un ruolo cruciale: quello di prevenire gli incidenti sul lavoro, compito che Di Giusto traduce nella felice espressione di professionisti del “non accaduto”. «Quando un evento non accade vuol dire che le attività di prevenzione primaria nel loro complesso hanno funzionato» spiega Di Giusto, in passato presidente dell’associazione maggiormente rappresentativa di categoria UNPISI.
Che sul fronte della prevenzione occorra fare di più è ormai un dato di fatto: l’estate 2021 sarà ricordata per il numero elevato di tragici incidenti sul lavoro. «L’attività di prevenzione/vigilanza non si può ridurre alla mera verifica di conformità ad un disposto normativo ma deve avere la competenza culturale e tecnica per entrare nel merito dei processi» spiega Di Giusto.
«Purtroppo le cosiddette morti bianche, termine che personalmente non condivido, sono un fenomeno che non conosce tregua. Sono eventi dolorosi che di bianco, nell’accezione sociale del colore stesso, non hanno veramente nulla in quanto sono sempre macchiati, oltre che dal fatto tragico in sé, anche spesso da carenze non solo organizzative aziendali e di processo, ma anche culturali e formative e, non di meno, da carenze strutturali dovute agli impianti normativi. Con una media di 3 morti al giorno, nel 2021 già 677 decessi, e un aumento dell’8,3% degli infortuni, la responsabilità di ciò non può essere solo delle aziende e dei lavoratori. All’indomani di ogni evento fatale che sollecita l’opinione pubblica, si sente parlare sempre di assunzioni presso gli ispettorati del lavoro (1000 ispettori). Va benissimo, ma bisogna aver ben chiaro che le funzioni di questi sono ben altre rispetto a quelle in capo alle aziende sanitarie, che hanno una competenza diretta in materia di salute e sicurezza. Più opportuno sarebbe prevedere quindi quelle medesime assunzioni di personale delle ASL dove i tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro ogni giorno sono impegnati nelle attività di prevenzione e controllo. L’attività di prevenzione/vigilanza non si può ridurre alla mera verifica di conformità ad un disposto normativo ma deve avere la competenza culturale e tecnica per entrare nel merito dei processi (nella valutazione dei processi anche condizioni di possibile conformità possono prevedere dei rischi) e da qui valutarne in maniera efficace i rischi per la salute e sicurezza. La politica ed i decisori ad ogni livello devono avere il coraggio di uscire dalla sola logica quantitativa dei numeri delle ispezioni in luogo della qualità delle stesse».
«Negli ultimi anni a causa del blocco delle assunzioni il numero degli operatori si è notevolmente ridotto. Per riguadagnare parte di quelle risorse il numero di tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro dovrebbe essere implementato di circa 1400 professionisti, anche se so che è complesso, soprattutto nel centro sud. La stima dei fabbisogni di tecnici della prevenzione per altro, diversamente dalle altre professioni sanitarie, necessiterebbe di essere parametrata più nel dettaglio sulla popolazione per gli aspetti di sanità pubblica e ambientale, sul numero delle imprese e dei lavoratori, per la sicurezza alimentare e per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Non cambiando tale paradigma permarrà quella media statistica che ci porta a prevedere che un’azienda abbia la possibilità di essere verificata una volta ogni 28 anni: questo oggi con i dati che abbiamo legati agli eventi sopra richiamati è improponibile».
«I protocolli sono validi se allo stesso tempo viene verificata sul campo la loro applicabilità e se le persone vengono formate e informate nel merito degli obiettivi e dei comportamenti in maniera proattiva. Questi due elementi insieme sono funzionali al contenimento del virus sia negli spazi comuni sia per la salvaguardia della salute dell’individuo. In questo l’apporto della professione, anche come Covid manager, nel settore privato è stato importante. Sono stati 176.925 i contagi sul lavoro dall’inizio della pandemia, con circa 682 morti (fino a giugno ’21) per Covid-19 (equivalente a un terzo degli infortuni mortali sul lavoro denunciati da gennaio 2020 ad ora, considerato anche il periodo di fermo attività), un quinto delle denunce di infortunio sul lavoro e il 4,12% dei contagi nazionali. Nel corso di questo periodo abbiamo rincorso i vari DPCM in quanto spesso gli stessi non annoveravano i servizi di prevenzione delle aziende sanitarie ed al supporto che questi, attraverso il proprio know how in materia di sanità pubblica e prevenzione del contagio, avrebbero potuto fornire, soprattutto alle piccole e medie imprese nella ripresa delle attività. Questo, soprattutto nella prima fase pandemica, ha portato molti servizi sanitari a mettere in ferie i tecnici della prevenzione, quando invece questi avrebbero potuto da subito fornire il proprio supporto al sistema sociale e delle imprese».
«Che la nostra è una bella professione in cui la passione per quello che si fa diviene anche una missione di vita che va ben oltre l’esercizio professionale. Il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro non ha solitamente un riscontro diretto con il cittadino durante lo svolgimento dell’attività, come avviene per altri professionisti sanitari che partecipano ai processi di cura e riabilitazione. Il tecnico della prevenzione agisce, nei contesti di vita e di lavoro, al fine di prevenire gli eventi avversi ed i problemi di salute. Ricercare i determinanti del rischio, ed attivare le azioni capaci di prevenirli, presuppone indagini talvolta complesse, il cui obiettivo primario è quello di evitare il manifestarsi di eventi avversi ambientali e/o comunque potenzialmente dannosi per la salute. Come sono solito dire il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro è il professionista del “non accaduto”, perché quando un evento non accade vuol dire che le attività di prevenzione primaria nel loro complesso hanno funzionato. Noi siamo in sostanza quei professionisti che mirano a favorire il più possibile quelle condizioni che rappresentano nel suo complesso parte sostanziale della prevenzione primaria».
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