Lavoro e Professioni 9 Febbraio 2021 12:07

Tecnici di neurofisiopatologia: «In prima linea per la valutazione dei sintomi neurologici da Covid e da lungo allettamento»

Insegnamenti e criticità della pandemia: «La medicina territoriale può fare la differenza nella gestione degli ammalati: siamo arrivati direttamente al letto dei pazienti Covid-free. Penalizzati gli studenti universitari che hanno dovuto rinunciare alla formazione sul campo»

di Isabella Faggiano

Circa il 30% dei pazienti Covid sviluppa sintomi neurologici, così come il prolungato allettamento può avere delle conseguenze sul sistema nervoso. Per questo, i tecnici di neurofisiopatologia si sono ritrovati in prima linea nella gestione dell’emergenza Covid, durante la seconda ondata ancor più nella prima. «Che l’infezione da Covid-19 non coinvolgesse soltanto il sistema respiratorio è stato chiaro solo a distanza di alcune settimane dall’inizio del primo lockdown – racconta Maurizio Vergari, vice presidente AITN (l’Associazione Italiana Tecnici Neurofisiopatologia) e consigliere dell’Ordine delle Professioni Sanitarie di Milano -. Ma quando le evidenze scientifiche hanno chiarito il coinvolgimento anche del sistema nervoso, il nostro lavoro nei reparti Covid si è reso indispensabile attraverso due esami strumentali fondamentali, l’elettroencefalogramma e l’elettromiografia».

Dalle emergenze s’impara

All’esplodere della seconda ondata si era già preparati alla gestione dell’emergenza, ma sono emerse nuove difficoltà da affrontare: «Abbiamo dovuto conciliare il lavoro nei reparti Covid con quello ordinario che, durante il lockdown, era stato interrotto dal dpcm in vigore», aggiunge il professionista sanitario. E come spesso capita, dalle esperienze difficili ed impegnative, sono molti gli insegnamenti da trarre: «Innanzitutto – commenta Vergari – la valorizzazione del territorio: durante le fasi più critiche della pandemia ci siamo spostati nelle abitazioni private per effettuare esami ai pazienti Covid-free. Arrivare a letto del malato, a casa sua, ha un doppio valore: evita che persone fragili frequentino luoghi a rischio come gli ospedali e diminuisce il lavoro a carico degli ambulatori nosocomiali. Le prestazioni a domicilio, o comunque in centri diagnostici territoriali, decentrati dalle strutture ospedaliere, potrebbero rappresentare un nuovo modo di lavorare che, senza dubbio, migliora l’efficienza delle prestazioni erogate dal Ssn».

L’hi-tech

La pandemia non ha offerto solo nuove modalità di lavoro, ma anche strumenti innovativi: «L’incremento dell’utilizzo di nuove tecnologie ha aiutato la gestione dei pazienti ed ha permesso un importante e proficuo confronto tra professionisti di tutta Italia», dice Vergari. Ancora, l’emergenza ha fatto spiccare il valore della multidisciplinarità: «Durante la pandemia, ognuna delle diciannove professioni sanitarie ha avuto il suo ruolo specifico ma, contemporaneamente, si è rafforzato lo spirito di gruppo sia per la ricerca delle migliori evidenze scientifiche per il trattamento del paziente critico, sia per il sostegno psicologico che l’uno ha offerto all’altro, sentendoci meno soli e più supportati nell’affrontare una situazione senza precedenti».

La formazione universitaria

Adesso, mentre il lavoro al fronte continua, resta un importante nodo da sciogliere: «Gli studenti universitari hanno dovuto rinunciare al consueto tirocinio in ospedale, relegando l’esperienza pratica a lezioni online. Un adattamento alle circostanze che, ovviamente, si ripercuoterà sulla preparazione dei tecnici di neurofisiopatologia di domani ai quali – conclude il vice presidente AITN – non può essere preclusa la possibilità di formarsi anche sul campo».

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