Secondo Luigia Fioramonti, presidente della Commissione d’Albo di Roma, bisogna lavorare per «avere una buona formazione e essere presenti in tutti i servizi sanitari per tutelare la salute dei cittadini». Spiega Arnaldo Pezzola (Cda Roma): «Fondamentale la sinergia con i caregiver che ci consente di svolgere un lavoro a 360 gradi anche sull’ambiente»
Occuparsi dei soggetti con diversi gradi di disabilità attraverso una terapia centrata sulla persona e sulle sue occupazioni in grado di restituire il più ampio livello di autonomia. È questo uno dei compiti principali dei terapisti occupazionali, professione confluita nella Federazione degli Ordini TSRM PSTRP. Al Congresso nazionale di Rimini abbiamo conversato con la presidente della Commissione d’Albo di Roma, Luigia Fioramonti, e con il dottor Arnaldo Pezzola, membro della Cda di Roma, che ci hanno raccontato come sta evolvendo la professione e quali sono i suoi punti di forza.
«I terapisti occupazionali – spiega Fioramonti – hanno bisogno di una buona formazione come tutte le professioni sanitarie dell’Ordine e di essere presenti in tutti i servizi sanitari per tutelare la salute dei cittadini. Noi ci occupiamo di tutto ciò che guarda ai bisogni della persona, ai bisogni della vita quotidiana e quindi lavoriamo per permettere alla persona di poter svolgere delle attività che sono per la persona significative ma a cui ha dovuto rinunciare. Sappiamo che è molto importante dare questa possibilità a tutte le età della vita».
Tuttavia, il numero di terapisti occupazionali è ancora insufficiente a rispondere ai bisogni di salute: «Noi siamo presenti in alcuni servizi pubblici, a Roma e nel Lazio purtroppo nelle aziende sanitarie siamo ancora rarissimi. Siamo nelle RSA, nei servizi per riabilitazione delle persone con problemi comportamentali o cognitivi, ma siamo ancora troppo pochi nei servizi per l’età evolutiva in cui invece la nostra presenza è fondamentale».
Compito del terapista occupazionale è anche quello di interloquire con l’ambiente circostante e con familiari e caregiver. «Il cuore della nostra professione è l’interesse verso il paziente, verso la persona con cui andiamo a stabilire un vero e proprio contratto che è basato sul raggiungimento della partecipazione nelle attività – spiega Pezzola -. Io lavoro nel campo della disabilità intellettiva e cerco di capire sempre i veri interessi del soggetto. Questo vale in tutti gli ambiti della terapia occupazionale: età evolutiva e disabilità sia fisica che mentale».
Compito del terapista occupazionale è quello di far raggiungere la massima partecipazione al soggetto: «Quello che facciamo nei nostri reparti, che molto spesso assomigliano ad ambienti di vita domestica e includono bagni accessibili, cucine accessibili, spazi dedicati alla vestizione ma anche piccoli ambiti di lavoro, è quello di lavorare con i nostri pazienti in modo tale che loro possano raggiungere una autonomia che li possa riportare pienamente nella vita di tutti i giorni. Questo non solo è importante per alleggerire il sistema sanitario e rendere le persone più indipendenti possibile ma anche per lavorare sulla performance e sull’ottenimento della soddisfazione personale, che è una delle parti più importanti del processo di riabilitazione».
Ecco che così molto spesso «si sviluppa un rapporto di collaborazione – conclude Pezzola -. Diventiamo complici. Spesso si devono trovare delle strategie che non solo riguardano il paziente ma che coinvolgono i familiari perché la sinergia con i caregiver ci consente di svolgere un lavoro a 360 gradi non solo sul paziente, ma anche sulle famiglie e sull’ambiente che li circonda».
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