Sono tre i principali approcci che il caregiver, grazie al terapista occupazionale, può apprendere per riuscire a svolgere al meglio il ruolo assegnatogli: Gentlecare, Tap e Cotid
La popolazione italiana, negli ultimi 50 anni, è invecchiata più che in qualunque altro Paese sviluppato, tanto che si stima che nel 2050 gli over 65 rappresenteranno il 35,9% della popolazione totale e avranno un’attesa di vita media di 82 anni e mezzo. Parallelamente, si nota che non sono più le malattie infettive e carenziali ad essere maggiormente diffuse tra gli anziani, ma quelle cronico degenerative. «L’invecchiamento – spiega Christian Parone, presidente dell’AITO, l’Associazione Italiana Terapisti Occupazionali – è il principale fattore di rischio per le malattie neurodegenerative e le demenze: si stima che siamo oltre 9,9 milioni i nuovi casi ogni anno nel mondo, uno ogni 3,2 secondi (World Alzheimer Report 2017). Per questi pazienti appare cruciale l’intervento del Terapista Occupazionale, con un intervento rivolto sia alla persona che al suo caregiver».
La demenza è una patologia che coinvolge l’intero nucleo familiare, poiché il paziente che ne è affetto ha bisogno di cure di tipo fisico, pratico ed emotivo. «Il caregiver si trova a vivere una situazione completamente nuova rispetto alle proprie abitudini, infatti, chi svolge questo ruolo è vincolato a dover riorganizzare la propria vita dal punto vista familiare, sociale ed economico. La forza dell’intervento del terapista occupazionale – spiega Parone – sta nel far combaciare le esigenze di entrambi, nell’accompagnare l’anziano a svolgere attività significative, incentivando il suo senso di autostima e di efficacia individuale, e il senso di competenza del caregiver (Graff et al., 2007). Diversi studi hanno mostrato come la disponibilità da parte del caregiver al sostegno sociale e la valutazione di personale di supporto specializzato come Terapisti Occupazionali, siano associate sia ad una diminuzione del burden, ovvero il carico che il cargiver si porta dietro, (COEN et al., 1997; Gold et al., 1995) e ad una riduzione dei sintomi depressivi».
Ma che cosa fa, nel concreto, il Terapista Occupazionale con il caregiver? «Comincia con il raccogliere la storia di vita della persona affetta da demenza, i suoi interessi, i suoi valori, esamina il suo ruolo nella famiglia e nella comunità – risponde il professionista sanitario -. Sulla base dei dati raccolti, suggerisce al cargiver attività significative per la persona, che forniscano motivazione e soddisfazione. Offre consigli per ridurre il carico assistenziale e per non lasciarsi sopraffare dalla situazione. Lo addestra, con il paziente, all’uso di strategie o ausili, per favorire l’autonomia nella vita di tutti i giorni. Propone strategie per compensare i disturbi di memoria e disorientamento. Suggerisce come adattare gli ambienti di vita, spazi abitativi e non, impostando soluzioni che aumentino la sicurezza fisica dell’assistito, analizzando i rischi di caduta, per prevenire ma anche per riprendere le attività dopo prime cadute».
Sono tre i principali approcci che il caregiver può attuare per riuscire a svolgere al meglio il ruolo assegnatogli: Gentlecare, Tap e Cotid. «Nel metodo Gentlecare – spiega Parone – le famiglie e il personale di assistenza vengono incoraggiati attraverso l’acquisizione di strategie e programmi efficaci, che aiuteranno la persona a vivere più confortevolmente nel proprio ambiente – dice il terapista occupazionale – . È utile costruire attorno alla persona con demenza una protesi per farle mantenere il più a lungo possibile l’autonomia e ridurre al minimo le situazioni di stress, fonte di agitazione, ansia e aggressività. La protesi è costituita dallo spazio, dalle persone e dalle attività. Si tratta dunque di un modello sistemico che si sviluppa a partire dalla comprensione profonda della malattia e del tipo di disabilità provocata, per poi cogliere e valorizzare le capacità residue del malato, la sua storia e i suoi desideri così da accrescerne il benessere e sostenerlo».
L’approccio di Gitlin, il Tailored Activity Program (TapP), include anche la formazione per i caregiver, sia formale che informale, su come utilizzare le attività come parte delle routine di assistenza quotidiana. «Fra i principali motivi di stress dei caregiver vi sono i disturbi del comportamento, il terapista educando il caregiver e aiutandolo a sviluppare e generalizzare le strategie e le attività apprese può contribuire a ridurre lo stress. Le attività vengono prescritte in seguito alla valutazione iniziale – sottolinea il terapista occupazionale – e tengono conto del caregiver. Tali prescrizioni vengono poi aggiornate sulla base dei suoi feedback: il terapista dimostra al caregiver il modo giusto di eseguirle e di impostare l’ambiente. Le prescrizioni aumenteranno con il passare del tempo e mano a mano che il caregiver sarà divenuto maggiormente esperto a proporre attività. Alle fine la persona con demenza avrà sviluppato una routine in grado di ridurre la frequenza delle situazioni stressogene con prescrizioni che copriranno la maggior parte della giornata».
Il Cotid, Community Occupational Therapy In Dementia, è uno strumento di terapia occupazionale utilizzato per rendere le persone con demenza ed i loro caregivers capaci di partecipare ad attività di vita quotidiana significative nel proprio ambiente, convivere con le conseguenze della malattia e dei deficit che essa comporta, mantenere le funzioni residue, migliorare la qualità della vita. «È un ciclo riabilitativo domiciliare svolto insieme alla persona con demenza e il suo assistente. Durante questo ciclo ci si concentra sul miglioramento della qualità della vita della famiglia, ricercando soluzioni pratiche ai problemi nelle attività di vita quotidiana (vestirsi, cucinare, andare fuori casa…), applicabili equamente ai problemi di tutti i partecipanti. Il terapista aiuterà la famiglia a sviluppare soluzioni personalizzate. Più in generale, a prescindere dall’approccio utilizzato, l’intervento del Terapista Occupazionale sarà, quindi, basato sul raggiungimento degli obiettivi prefissati – conclude Parone – attraverso l’incremento dell’autonomia del paziente e l’educazione del caregiver su strategie compensative, adozione di adattamenti dell’ambiente domestico, familiare e sociale e incremento della supervisione passiva».
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