Tanti i genitori degli aspiranti camici bianchi davanti l’Università Federico II di Napoli il giorno della prova. E c’è chi sottolinea: «Se un ragazzo è bravo deve avere la possibilità di poterlo dimostrare non in un test che dura poco più di un’ora»
C’è chi si è svegliato ancor prima che il sole sorgesse, chi ha percorso qualche centinaio di chilometri, chi, invece, ha deciso di trascorrere la notte in un albergo vicino per arrivare quanto più riposato possibile. In un modo o nell’altro, alle 8 del mattino erano già tutti lì, in attesa, davanti ai cancelli dell’università Federico II di Napoli. Accanto ai circa 6 mila studenti c’erano altrettanti accompagnatori: amici, parenti e, soprattutto, genitori.
Mamme e papà che condividono i sogni, le speranze, ma anche le delusioni dei propri ragazzi. «Sono arrabbiato perché mio figlio ha già tentato il test tre volte e non è mai riuscito ad entrare, pur avendo raggiunto punteggi molto buoni». È cosi che Nicola, padre di Pietro, aspirante medico di Aversa, si sfoga ai microfoni di Sanità Informazione.
Dietro ai sacrifici di questi 6 mila giovani ci sono pure le rinunce di molti genitori: «Oggi, come durante tutti i precedenti tentativi, per accompagnare mio figlio – ha raccontato ancora Nicola – ho dovuto rinunciare ad un’intera giornata di lavoro». Giornata che, invece, ha trascorso consumando le suole delle scarpe, percorrendo avanti e indietro il viale antistante alle aule della Federico II.
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Durante i 100 minuti concessi agli aspiranti medici per dimostrare la loro preparazione ed aggiudicarsi un posto di studente di Medicina e Chirurgia, gli accompagnatori hanno formato una vera schiera, al di là del nastro rosso e bianco che i vigilanti hanno disposto per delimitare la zona accessibile solo a concorrenti e commissari d’esame.
Dalla maggior parte dei visi trapela tensione: c’è chi si rifiuta di parlare “per scaramanzia”, chi cerca distrazione nella lettura di un libro e chi stringendo un rosario tra le mani recita preghiere.
È qui che incontriamo Domenico, papà di Annalisa, intento a discutere con la madre di un altro candidato sulla possibilità di abolire il numero chiuso: «Vorrei scrivere una lettera al ministro dell’Istruzione per esporre la mia proposta: eliminare il test d’ingresso e creare uno sbarramento durante il percorso di studio. Le porte del primo anno devono essere aperte a tutti, mentre al secondo anno accederanno solo coloro che avranno superato un numero minimo di esami».
Un’idea condivisa anche da Nicola, il papà di Pietro: «Se un ragazzo è bravo deve avere la possibilità di poterlo dimostrare durante il corso di almeno un anno. Le vere capacità di una persona non possono emergere in un test che dura poco più di un’ora».
Tra i genitori c’è anche chi appare più moderato o semplicemente rassegnato al “sistema numero chiuso”. «Il test d’ingresso – ha detto Cinzia, la mamma di una studentessa al suo secondo tentativo – dovrebbe essere una garanzia per la selezione dei più meritevoli. Ma, spesso, le domande sono troppo difficili per ragazzi appena diplomati. Sarei favorevole al numero chiuso – ha aggiunto – solo se questa valutazione diventasse un po’ più morbida».
Per ora Cinzia non vuole parlare d’altro: «Spero solo che questa volta sia quella buona per mia figlia. Studiare Medicina è il sogno più grande della sua vita». E per sapere se quest’anno sarà riuscita a realizzarlo dovrà attendere fino al 2 ottobre, giorno in cui saranno pubblicate le graduatorie nazionali.